Si potrebbe considerare Stan Barstow come la Sally Rooney di sessant’anni fa, anche se i lettori della generazione dell’autrice di Persone normali probabilmente rimarrebbero confusi da un romanzo del 1960 sulla storia di un giovane della classe operaia costretto a sposare una ragazza rimasta incinta. Le nuove generazioni potrebbero stupirsi della moderazione con cui i personaggi controllano i propri impulsi, ma riconoscerebbero che, come nei romanzi migliori della stessa Rooney, anche qui il racconto è sospinto dalla forza del dialogo urgente e narrato interamente in prima persona al tempo presente, con un’immediatezza intima e coinvolgente. La storia è ambientata in una cittadina immaginaria dello Yorkshire dove Vic Brown, ventenne, lavora come disegnatore tecnico. L’ufficio è un ambiente maschile fatto di battute e spacconate sessuali. Vic è descritto come poco istruito ma intelligente: è ossessionato dal sesso e si fissa su Ingrid Rothwell, una segretaria diciottenne che idealizza senza speranza per poi trovarla insipida e noiosa. Con cupa inevitabilità, dopo l’unica volta in cui riescono ad avere un rapporto completo, Ingrid rimane incinta e Vic la sposa. Il destino di Vic è forse quello tanto temuto da tutti gli altri ribelli della classe operaia, intrappolati dalle convenzioni sociali? Oggi potremmo vederlo come prigioniero in un mondo fatto di ruoli di genere rigidi che lui stesso nemmeno riesce a riconoscere. David Mills, The Sunday Times
Alejandra Moffat è nata a Los Ángeles, in Cile, nel 1982. È scrittrice, sceneggiatrice e attrice. Il suo ultimo lavoro, Mambo, evoca una voce che s’immerge nell’infanzia e vaga tra silenzi che le vengono imposti. La storia è raccontata attraverso la voce di Ana. Lei, la sorella maggiore e i genitori devono nascondersi costantemente dagli agenti della sicurezza durante la dittatura di Pinochet. Nonostante la durezza del tema, il romanzo incorpora un elemento magico che convive con la realtà: i genitori di Ana e Julia creano per loro un’estensione del mondo dove le bimbe si sentono al sicuro. La bellezza di Mambo è nel fatto che Ana non sembra mai perdere la sua innocenza. Se da un lato il lettore si sente inorridito, dall’altro lei rimane una bambina che vive in un mondo chiuso, come nei racconti di fate. La prodezza narrativa dell’autrice sta nel costruire un personaggio che parla dall’infanzia: la prosa di Moffat è semplice e chiara, ma il suo intento ampio e complesso. All’interno di quello che si può definire “romanzo della dittatura”, Moffat sceglie una visione intima e quindi vicina, suggerendo che in fin dei conti il regime di Pinochet persiste nelle cicatrici che non si possono cancellare, quelle che, ancora oggi, restano aperte. Nella scrittura, il non dire può rivelarsi più efficace del dire. Alejandra Moffat ne è consapevole, così in Mambo mostra che la dittatura ha provocato fratture definitive e irreparabili. Celinda Tapia Solar, Revista Santiago
Ragnar Jónasson è da tempo uno degli autori di maggior successo commerciali dell’Islanda, con più di tre milioni di copie vendute dei suoi romanzi gialli. Reykjavík è la sua prima collaborazione con Katrín Jakobsdóttir (prima ministra del paese fino al 2024) e si può definire un bel colpo: la trama è perfettamente costruita, i personaggi sono eccellenti e non mancano colpi di scena sorprendenti ma sempre ben giustificati. Il delitto al centro della storia è la scomparsa, nel 1956, di una ragazza di nome Lara, che lavorava per una coppia benestante su un’isola al largo della costa vicino a Reykjavík. Il caso è ancora irrisolto trent’anni dopo mentre la città si avvicina al suo duecentesimo anniversario. Il giornalista Valur Robertsson sa che una nuova indagine venderebbe molti giornali e renderebbe felicissimo il suo impaziente caporedattore. Nonostante fonti reticenti, minacce legali e continui richiami al fatto che passato e presente sono sempre intrecciati, Valur si impegna a riportare Lara e la sua famiglia al centro della narrazione. Anche Sunna, la sorella un po’ alla deriva del protagonista, si troverà coinvolta nelle indagini. Jónasson e Jakobsdóttir mostrano con sobria maestria come la verità riesca sempre a venire a galla, per quanto sgradevole possa essere. Sarah Weinman, The New York Times
La prolifica scrittrice rivolge il suo sguardo al conflitto tra i movimenti a favore del diritto all’aborto e i cosiddetti “pro-life”. Questo romanzo monumentale esplora entrambe le facce della stessa storia. Nel novembre del 1999, in Ohio, il medico Gus Voorhees viene ucciso da Luther Amos Dunphy, un predicatore laico convinto di essere un soldato di Dio. Il magistrale incipit del romanzo è narrato dallo stesso Dunphy nei giorni che precedono l’omicidio, portando il lettore a condividere la sua paura di uno “stato ateo e senza Dio”. Dopo l’omicidio, la narrazione si biforca, volgendosi verso la famiglia di Voorhees, grazie a un “archivio” costruito da sua figlia Naomi. Una delle forze del romanzo sta nella capacità di Oates di creare paralleli convincenti tra le famiglie Voorhees e Dunphy. È un romanzo avvincente che trasforma quella che poteva essere una trattazione politica in una lettura appassionante. Erica Wagner, The Guardian
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