L’attacco jihadista del 17 settembre a Bamako, la capitale del Mali, contro una scuola della gendarmeria e una base militare vicino all’aeroporto ha provocato più di settanta morti e duecento feriti, hanno dichiarato fonti della sicurezza maliana.

Gli attentati sono stati i primi di questo tipo da anni e hanno inferto un duro colpo alla giunta militare al potere. L’elevato numero di vittime ha gettato dubbi sulla strategia militare adottata dai generali golpisti e le loro affermazioni secondo cui la situazione nel paese è sotto controllo.

L’operazione, rivendicata dal Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) legato ad Al Qaeda, ha messo in allarme la popolazione. Molti maliani hanno usato i social network per chiedere conto di quello che considerano un errore delle forze di sicurezza.

Una fonte militare, parlando a condizione di anonimato, ha riferito all’Afp che le persone uccise sono 77 e quelle ferite 255. Un documento ufficiale confidenziale autenticato indicava un bilancio di circa cento vittime. Le autorità militari del Mali non hanno finora fornito indicazioni sui funerali o quali misure prenderanno in risposta agli attacchi.

Dal canto suo il Gsim ha affermato che alcune decine di suoi combattenti hanno ucciso e ferito “centinaia” di avversari, tra cui paramilitari della milizia russa Wagner.

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L’attacco è avvenuto un giorno dopo che il Mali, il Niger e il Burkina Faso, tutti paesi guidati da giunte militari che hanno preso il potere negli ultimi anni, hanno festeggiato un anno dalla creazione di una loro organizzazione regionale, l’Alleanza degli stati del Sahel (Aes).

I tre paesi hanno rotto i legami con la Francia, ex potenza coloniale, e si sono rivolti ad altri partner, tra cui la Russia, per stringere nuovi accordi militari e politici.

Anche se nel resto del Mali gli attacchi dei jihadisti legati ad Al Qaeda e al gruppo Stato islamico sono all’ordine del giorno, la capitale Bamako è stata relativamente risparmiata dagli attentati, l’ultimo dei quali risale al 2016.