Allargamento o approfondimento? Il dilemma è ben noto alle organizzazioni internazionali come l’Unione europea. Al vertice di Johannesburg i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno scelto la prima opzione, invitando sei paesi a entrare nel club entro il 2024. È sicuramente la scelta più facile. I Brics non sono un’organizzazione internazionale, non hanno strutture permanenti e finora hanno creato solo un’istituzione comune, una banca per lo sviluppo. L’eterogeneità di questi stati, che presentano sistemi politici diversi e non condividono né un mercato unico né leggi comuni, rende complicata la strada dell’approfondimento. Questo spiega perché, a Johannesburg, sono state ridimensionate le ambizioni di ridurre la dipendenza dal dollaro. L’allargamento, invece, offre ai Brics la possibilità di avere un peso maggiore sulla scena mondiale. Dopo aver integrato Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto, Etiopia e Argentina, i Brics rappresenteranno il 46 per cento della popolazione del pianeta e poco più di un terzo del pil mondiale. Il gruppo accoglie paesi mediorientali e produttori di petrolio, rafforza il polo africano e apre le porte al secondo paese più grande dell’America Latina: un cambiamento di scala notevole.

La vera questione è quella degli obiettivi dell’allargamento. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha sottolineato i vantaggi economici. In effetti è presumibile che la cooperazione economica e finanziaria tra gli undici paesi sarà rafforzata, grazie alle enormi capacità d’investimento dell’Arabia Saudita e degli Emirati. Inoltre i Brics potranno difendere meglio gli interessi del sud globale nel campo dello sviluppo sostenibile e avere un peso maggiore nella riforma di un sistema multilaterale mondiale ancora dominato dagli occidentali.

Gli obiettivi politici sono invece meno realistici. L’allargamento rappresenta una vittoria per il presidente cinese Xi Jinping, che era il principale sostenitore di questa scelta. Tuttavia se Xi intende sfruttare i Brics nella sua rivalità contro gli Stati Uniti, dovrà fare i conti con l’opposizione dell’India e del Brasile. Allo stesso modo, se l’idea di Pechino (sostenuta dalla Russia) è creare un gruppo capace di sfidare il G7 e la rete di alleanze costruita dai paesi occidentali, difficilmente troverà la necessaria coerenza in regimi politici diversi come quelli di Iran, Sudafrica, Brasile e della stessa Cina.

L’analista indiano Raja Mohan avverte che più aumenta il numero di stati più si riduce il denominatore comune. Johannesburg non è Bandung, la città indonesiana dove nel 1955 nacque il movimento dei paesi non allineati. In quel caso l’obiettivo era sottrarsi all’influenza dei due blocchi rivali (occidentale e sovietico), non cimentarsi nella competizione tra grandi potenze. Allargare i Brics non basta a creare una casa comune. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati