Nell’arco di 72 ore un terremoto devastante ha provocato quasi tremila vittime in Marocco e le inondazioni causate dal ciclone Daniel hanno ucciso più di cinquemila persone nell’est della Libia, dove a migliaia risultano dispersi. In altri tempi avremmo attribuito queste tragedie ai capricci della natura, ma oggi sappiamo che i fenomeni meteorologici estremi hanno un’origine tutt’altro che casuale e che i danni provocati da un terremoto sono legati alla capacità di reazione e alla solidità delle abitazioni e delle infrastrutture. Di sicuro non erano solide le case dell’Atlante marocchino, come non lo erano le dighe che hanno ceduto nell’est della Libia. In entrambi i casi il numero di vittime è dovuto alle imprevedibili scosse e ai fenomeni atmosferici causati dal cambiamento climatico, ma anche al sottosviluppo, all’incuria delle autorità e alle disuguaglianze.

Inoltre i due disastri hanno messo a nudo i limiti della democrazia nel Maghreb. Il fatto che il re Mohamed VI abbia aspettato quattro giorni prima di mostrarsi tra i cittadini è incomprensibile, ed è sconcertante che siano stati rifiutati gli aiuti di paesi vicini, come Francia e Algeria. Con la sua incapacità di mettere da parte le considerazioni geopolitiche per far fronte a una tragedia, il Marocco non dà alcuna dimostrazione di forza. Anzi, mostra la propria debolezza.

Per quanto riguarda la Libia c’è da sperare che il dramma serva a superare l’isolamento imposto dall’Europa e dall’occidente al paese dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi. Non sarà facile. La Libia in realtà non esiste, perché è divisa tra la Tripolitania e la Cirenaica, guidate da governi che la comunità internazionale non è riuscita a riconciliare. Poco prima del diluvio Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est (dov’è avvenuta la catastrofe), aveva ricevuto una delegazione del gruppo paramilitare russo Wagner, che l’ha aiutato a combattere i jihadisti e ad assicurarsi il controllo del petrolio. In queste circostanze è molto probabile che la ricerca delle vittime e la ricostruzione saranno condizionate dagli interessi geopolitici, e nel caso della Libia anche dall’accesso al petrolio. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1529 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati