Il 13 novembre un tribunale israeliano ha ordinato il rilascio di Meir Baruchin, un insegnante di storia ed educazione civica che ha trascorso cinque giorni in carcere senza un atto formale di accusa. Solo pochi giorni prima la polizia aveva chiesto che restasse in carcere perché aveva “manifestato l’intenzione di commettere tradimento”, un reato che prevede una pena massima di dieci anni.

Diciamolo: Baruchin è stato usato come pedina per mandare un messaggio politico. Il suo arresto nasce dalla volontà di bloccare qualsiasi critica o protesta contro la politica di Israele. Baruchin è stato licenziato dal liceo in cui insegnava e ha trascorso cinque giorni in carcere senza motivo. È stato denunciato dall’amministrazione comunale della città di Petah Tiqva, con il pretesto di alcuni interventi online in cui l’insegnante ha criticato l’operazione militare dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza e parlato della morte dei civili.

Baruchin è stato interrogato su almeno quindici post, scritti anche prima dell’inizio del conflitto il 7 ottobre, in cui si vedevano foto di palestinesi morti (compresi dei bambini), accompagnate spesso dalla frase “questo non interessa agli ebrei”.

Tranne rare eccezioni, l’affermazione è corretta. Anche in tempo di pace l’opinione pubblica israeliana non mostra interesse per le vittime palestinesi innocenti. In guerra, la visione prevalente è che le vittime palestinesi non esistono.

L’8 ottobre Baruchin ha citato in un post il nome e l’età di sei palestinesi uccisi in Cisgiordania. Avevano tra i 14 e i 24 anni. “Sono nati e hanno vissuto sotto l’occupazione”, ha scritto l’insegnante. “Non hanno mai conosciuto un solo giorno di vera libertà. Sono stati uccisi dai nostri meravigliosi ragazzi”.

Il 10 novembre il giudice Oren Silverman aveva prolungato il fermo di Baruchin di quattro giorni basandosi su queste dichiarazioni, ma il giudice Zion Saharay non si è lasciato convincere dalle argomentazioni della polizia.

Nell’ultimo mese decine di arabi israeliani sono stati arrestati per presunta istigazione a delinquere. La polizia e i tribunali sono coinvolti nel tentativo di limitare la libertà d’espressione in Israele. Anche se il governo sta cercando di mettere a tacere la popolazione, le forze di sicurezza e i tribunali non dovrebbero prestare il fianco al suo gioco. La giustizia ha il compito di proteggere gli israeliani e le loro libertà. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati