Non dobbiamo e non possiamo distogliere lo sguardo da quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha prima bombardato pesantemente il nord, costringendo metà della popolazione a scappare, e ora sta intensificando le operazioni nel sud con attacchi aerei e carri armati. Secondo i funzionari palestinesi a Gaza sono già state uccise più di 15.900 persone, la maggior parte delle quali erano donne e bambini. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato all’esercito di usare una “forza crescente” contro Hamas. E stavolta ne farà le spese una popolazione ancora più numerosa e più concentrata in un solo luogo e in circostanze ancora più disperate.

Secondo Israele gli ordini di evacuazione mostrano la sua attenzione per la sorte dei civili. Ma visto che nella Striscia mancano elettricità e la rete internet, è difficile seguire ordini complessi e in rapida evoluzione. Oltre tutto parliamo di persone affamate, esauste, in lutto e traumatizzate.

Gli Stati Uniti, che contribuiscono per un quinto al bilancio della difesa di Israele, hanno criticato in pubblico e in privato il comportamento israeliano. La vicepresidente Kamala Harris ha avvertito che “sono stati uccisi troppi palestinesi innocenti”. Il segretario alla difesa Lloyd Austin ha dichiarato: “Se si spinge la popolazione civile tra le braccia del nemico, si sostituisce una vittoria tattica con una sconfitta strategica”. Eppure il sostegno di Washington all’alleato non sembra in discussione. Israele dice di avere in programma una “guerra molto lunga”, che durerà fino al 2024, e non ha ancora un piano per il dopo.

In tutto questo bisogna anche tenere conto del contesto più ampio. A novembre l’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha lanciato l’allarme per la situazione in Cisgiordania, dove l’aumento delle incursioni delle forze israeliane e delle aggressioni dei coloni ha provocato molti morti tra i palestinesi, e ne ha costretti tanti a lasciare le loro case. La violenza era già ai livelli più alti degli ultimi quindici anni. Il 30 novembre Hamas ha rivendicato l’uccisione di tre israeliani a una fermata dell’autobus a Gerusalemme Ovest.

Intanto il 3 dicembre gli Stati Uniti hanno riferito che un loro cacciatorpediniere ha abbattuto due droni durante una missione nel mar Rosso in soccorso di tre navi commerciali attaccate dalle milizie huthi dello Yemen, sostenute dall’Iran. Non è chiaro se anche la nave da guerra fosse un bersaglio. È stato l’attacco più significativo tra quelli condotti in zona dagli huthi – per lo più contro obiettivi israeliani – dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Per gli Stati Uniti il principale risultato del loro sostegno a Israele (e dell’invio di due portaerei nella regione) è stato quello di aver evitato un’escalation tra Israele e il gruppo libanese Hezbollah e, in ultima analisi, tra Israele e l’Iran. Anche se gli huthi non preoccupano molto Israele e i timori iniziali di un’estensione regionale del conflitto si sono attenuati, l’incidente evidenzia comunque che il rischio rimane. Questa guerra sta devastando Gaza. Ma i suoi effetti sono più ampi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati