Quante cose possono cambiare in dieci anni. Questa più o meno è la frequenza della Open science conference, organizzata dal World climate research programme (Wcrp). All’ultimo incontro del 2011, ricorda il climatologo Jim Hurrell, quasi nessuno parlava di geoingegneria, cioè dell’idea d’interferire deliberatamente con il clima della Terra per cercare di raffreddarlo, compensando così gli effetti di un altro tipo di ingerenza climatica, ossia il riscaldamento globale provocato dai gas serra.

All’edizione di quest’anno, che si è svolta in Ruanda, Hurrell ha pronunciato il discorso di apertura sul tema. C’erano “centinaia di studi, discussioni e poster”, dice. È il riflesso di un più generale cambio di prospettiva. Per anni la geoingegneria è stata oggetto di un serio interesse scientifico, anche se su scala ridotta, ma è stata per lo più ignorata dalle organizzazioni ambientaliste e dalla politica. Ora le cose stanno cambiando.

Dall’inizio del 2023 la geoingegneria solare, detta anche riduzione della radiazione solare (solar radiation modification, Srm), è stata oggetto di una serie di relazioni pubblicate dalla Commissione e dal parlamento europeo, dal governo statunitense, dalla Climate overshoot commission (Coc) e da quattro diversi organismi delle Nazioni Unite. Un filo conduttore comune è che, data l’incapacità del mondo di ridurre le emissioni di gas serra in tempo utile, i rischi e i benefici dell’Srm vanno opportunamente valutati.

Per capire come gli umani possano modificare il clima a loro vantaggio bisogna innanzi tutto capire come l’hanno già fatto a loro discapito. Quando la luce del Sole raggiunge la Terra, circa il 70 per cento è assorbito (il resto è riflesso nello spazio da nuvole, ghiaccio e altro). L’energia assorbita è poi riemessa sotto forma di raggi infrarossi. Non tutta però torna nello spazio. I gas serra come l’anidride carbonica assorbono i raggi infrarossi, intrappolando una parte del calore reirradiato.

L’umanità ha inspessito questa coperta atmosferica. La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è passata dalle 280 parti per milione del periodo preindustriale alle 417 di oggi, con il risultato di intrappolare una quantità sempre maggiore di calore e far alzare le temperature medie di circa 1,2 gradi.

Quasi tutti i piani per contrastare il cambiamento climatico puntano a risolvere il problema alla radice, sostituendo i combustibili fossili con fonti di energia che non producono gas serra, come l’eolico, il solare e il nucleare. La geoingegneria solare si concentra sull’altro termine dell’equazione. Invece di permettere a una quantità maggiore di energia di sfuggire dalla superficie terrestre, mira a impedire che arrivi sulla Terra aumentando l’albedo del pianeta – cioè la sua capacità di riflettere la luce del Sole.

La natura ha già dimostrato che è possibile. L’albedo può essere temporaneamente alterata dalle eruzioni vulcaniche, che liberano particelle e gas nell’aria. L’anidride solforosa è particolarmente importante in questo processo, perché reagendo con l’acqua si trasforma in aerosol di solfato, una foschia che provoca la diffrazione della luce e resta sospesa nell’aria. Nel 1991 il vulcano Pinatubo, nelle Filippine, ne ha rilasciato nell’atmosfera 15 tonnellate, raffreddando il pianeta di circa mezzo grado per più di un anno.

Gli esseri umani hanno già fatto qualcosa di simile bruciando carburanti fossili che contengono zolfo, come il carbone o l’olio combustibile che alimenta le grandi navi. Poiché queste emissioni avvengono vicino al suolo, le particelle restano intrappolate nella troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera. Hanno un lieve effetto raffreddante sul pianeta, pari a pochi decimi di grado. Ma sono anche tossiche, e si ritiene che provochino centinaia di migliaia di morti ogni anno.

Prezzi modici

La versione dell’Srm più studiata si basa sullo stesso meccanismo. L’idea è iniettare anidride solforosa – o altri composti chimici, come il carbonato di calcio e polveri di alluminio o diamanti – non nella troposfera, ma nella stratosfera, che comincia venti chilometri sopra la superficie terrestre. Queste particelle rilasciate ad alta quota sarebbero distribuite in modo più uniforme rispetto a quelle delle navi o dei vulcani, e rimarrebbero sospese in aria più a lungo. Ciò significa che ne servirebbero molte meno per ottenere un certo livello di raffreddamento del pianeta.

Secondo alcune stime, per riflettere una quantità di luce solare sufficiente ad abbassare le temperature medie di un grado bisognerebbe iniettare ogni anno circa due milioni di tonnellate di zolfo nella stratosfera. È una quantità molto più bassa di quella prodotta dalle eruzioni vulcaniche e dai combustibili fossili, e costerebbe poche decine di miliardi di dollari all’anno. Le stime dei costi della decarbonizzazione dell’economia mondiale, dall’altra parte, ammontano a migliaia di miliardi di dollari all’anno.

Messa così, la geoingegneria solare sembra un affare. Ma le preoccupazioni non mancano. Pur invitando ad approfondire la ricerca, qualche mese fa la Commissione europea ha detto che, dato l’attuale stato di sviluppo, l’Srm “comporta un livello di rischio inaccettabile per gli esseri umani e l’ambiente”. La Coc ha chiesto una moratoria sull’Srm, scoraggiando qualsiasi esperimento su larga scala o qualsiasi attività con un “rischio significativo di danni transfrontalieri”.

Alcune delle preoccupazioni riguardano gli effetti sui fenomeni meteorologici. I primi tentativi di studiare i meccanismi della geoingegneria solare si basavano su altissimi livelli di iniezione di zolfo. Dal punto di vista scientifico aveva una logica: un segnale forte e chiaro rende più facile comprendere un fenomeno. Ma i modelli indicavano che cambiamenti così drastici dell’equilibrio nell’alta atmosfera potevano sconvolgere i monsoni tropicali e le piogge stagionali da cui dipendono l’agricoltura e l’economia di molti paesi.

Altri tabù sul cambiamento climatico si sono affievoliti con il tempo

Le ricerche successive, basate su numeri più realistici, sono più rassicuranti. Nel 2020 alcuni studiosi dell’università di Harvard sono arrivati alla conclusione che offuscare il Sole in misura minore a quanto sarebbe necessario per controbilanciare completamente il livello attuale di riscaldamento non altererebbe in modo significativo le precipitazioni nella maggior parte del mondo, e in ogni caso le piogge aumenterebbero invece che diminuire.

Anche l’effetto sulla chimica stratosferica non è chiaro. Per esempio, potrebbe amplificare le reazioni chimiche che rompono le molecole di ozono, rallentando la ricomposizione dello strato di questo gas e permettendo a una quantità maggiore di raggi ultravioletti cancerogeni di raggiungere il suolo. L’aumento dei livelli di anidride carbonica, inoltre, non ha solo l’effetto di riscaldare il pianeta. Buona parte del gas è assorbita dagli oceani, dove si trasforma in acido carbonico. Di conseguenza, oggi l’acidità dei mari è al livello più alto da due milioni di anni. L’ Srm non farebbe nulla per risolvere il problema.

Anche il fatto che la geoingegneria costi così poco è fonte di preoccupazione. Wake Smith, un ricercatore dell’università di Yale, ha provato a costruire un modello dei costi dell’Srm nel 2100. Lo studio è partito dall’ipotesi che per il resto del ventunesimo secolo il mondo non riuscirà a ridurre le emissioni di gas serra abbastanza rapidamente da abbassare in misura adeguata le temperature globali. Anche con questa premessa, la conclusione dell’analisi è che mantenere le temperature ai livelli del 2035 con la geoingegneria costerebbe circa trenta miliardi di dollari l’anno. Come sottolinea Smith, è grosso modo la stessa cifra che gli statunitensi spendono ogni anno in cibo per animali domestici. Una somma simile è facilmente alla portata di una grande economia, e probabilmente anche di una coalizione di economie più piccole. Il rischio è che un paese cerchi di applicare questa tecnologia unilateralmente. Forse, però, la paura più diffusa è quella del rischio morale – e cioè che l’Srm, offrendo un’alternativa più economica, possa compromettere gli sforzi di combattere il cambiamento climatico riducendo le emissioni di gas serra. Questi sforzi si stanno già rivelando insufficienti. Il 20 novembre l’Onu ha affermato che le misure promesse dai paesi firmatari degli accordi di Parigi entro il 2030 porterebbero a un riscaldamento tra i 2,5 e i 2,9 gradi entro la fine del secolo. Per mantenere l’aumento al di sotto dei due gradi – il più alto dei due obiettivi fissati a Parigi nel 2015 – sarà necessario ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 28 per cento entro il 2030.

Alcuni obiettano che l’esempio della cattura diretta dell’anidride carbonica dall’aria – un’altra tecnologia ancora inesistente su larga scala, ma che è comunque alla base di quasi tutti i piani di riduzione delle emissioni a lungo termine – dimostra che i paesi si attaccheranno a qualunque cosa permetta di evitare dolorosi tagli delle emissioni. Altri ribattono che la geo­ingegneria potrebbe essere usata per guadagnare tempo e limitare l’aumento della temperatura in attesa di ridurre le emissioni.

Tutto questo spiega la pessima reputazione della Srm tra gli esperti di clima. Gli oppositori stanno adottando strategie più decise. Un test previsto in Svezia nel 2021 è stato cancellato per le pressioni degli ambientalisti. Nel 2022 la startup statunitense Make sunsets ha condotto un esperimento non autorizzato nel nord del Messico, rilasciando piccole quantità di aerosol da una mongolfiera per studiare come riflettono la luce solare. Il governo messicano ha vietato di ripetere simili test.

Nel gennaio 2022 più di quattrocento rispettati studiosi hanno firmato una lettera aperta in cui contestano l’idea che la geoingegneria solare sia un tema degno di studio e chiedono un accordo internazionale che proibisca qualunque aspetto di questa tecnologia, dagli esperimenti all’aperto ai programmi e alle valutazioni di ricerca, anche da parte di istituzioni come il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc).

Ma non è detto che l’avranno vinta. Altri tabù sul cambiamento climatico si sono affievoliti con il tempo. Fino agli anni duemila, il concetto di adattamento – proteggersi dagli effetti del cambiamento climatico, per esempio costruendo dighe marittime – suscitava polemiche simili a quelle che oggi riguardano l’Srm. Gli oppositori temevano che avrebbe sottratto risorse agli sforzi per impedire il riscaldamento. Ma i paesi più vulnerabili, in particolare i piccoli stati insulari, sono andati avanti comunque. Alla luce della difficoltà di ridurre le emissioni, gli argomenti a favore dell’adattamento sono diventati gradualmente ineludibili. Oggi questi sforzi fanno parte del mandato dell’Ipcc.

Poche alternative

Qualcosa di simile sta succedendo con l’Srm. Il 2023 sarà quasi certamente l’anno più caldo mai registrato. Secondo Berkeley Earth, un gruppo di ricerca statunitense, c’è più del 90 per cento di probabilità che la temperatura media superi di 1,5 gradi quella del periodo preindustriale, oltrepassando per la prima volta il più basso dei due limiti fissati dall’accordo di Parigi. Hurrell è convinto che serva un serio programma di ricerca sull’Srm, gestito da un’istituzione come l’Ipcc o l’Organizzazione meteorologica mondiale. Secondo lui studi di questo tipo fornirebbero più argomenti contro l’Srm che a favore.

Anche la politica e le istituzioni sembrano sempre più disponibili. Janos Pasztor dirige la Carnegie climate governance initiative (Ccgi), un forum su varie tecnologie per il clima, tra cui l’Srm. Inizialmente, dice, l’Srm era malvista. Oggi però politici e autorità stanno valutando se non possa avere un ruolo nelle politiche per il clima. Nessuno dei suoi interlocutori è contrario a portare avanti la ricerca nel settore.

Forse il cambiamento più grande c’è stato nei paesi poveri, i più vulnerabili sia all’aumento delle temperature sia alle conseguenze indesiderate dell’Srm. Anote Tong è l’ex presidente di Kiribati, un arcipelago del Pacifico minacciato dall’innalzamento del livello del mare. L’anno scorso ha dichiarato al New Yorker che se il mondo continuerà sulla strada attuale, presto si arriverà al punto in cui la scelta sarà “tra la geoingegneria e la distruzione totale”. Non sono le parole di uno convinto che ci siano molte alternative. ◆ fas

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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati