Dopo il terremoto del 1755 che rase al suolo Lisbona influenzando profondamente il carattere nazionale del Portogallo, il paese è alle prese con un nuovo sisma, stavolta di natura politica.

Dopo quasi nove anni di governo, il Partito socialista (Ps) è stato infatti sconfitto alle elezioni legislative, perdendo 43 seggi in parlamento fermandosi a 77 deputati sui 230 totali. La coalizione di destra, l’Alleanza democratica (Ad), guidata dal Partito socialdemocratico (Psd), storico leader dello schieramento conservatore, ha ottenuto 79 seggi.

Anche se nessuna formazione si avvicina alla maggioranza assoluta, la legge dà all’Ad il diritto di formare un governo. Il leader della coalizione, Luís Montenegro, ha detto che intende provarci, ma qui cominciano i problemi. Dal voto, infatti, è emersa una grande novità rispetto al tradizionale bipolarismo portoghese, che dall’avvento della democrazia nel 1974 ha oscillato tra governi di sinistra e conservatori rimasti sempre all’interno di uno schema di regole ben preciso.

Questa frattura ha l’aspetto di un fenomeno noto in molti paesi del mondo: il populismo radicale di destra. Chega, un partito nato nel 2019 sbandierando la sua ammirazione per individui come Donald Trump e Jair Bolsonaro, è passato da 12 a 48 deputati, e ora il suo leader André Ventura chiede di partecipare al nuovo esecutivo. Lo stallo rischia di generare un periodo d’instabilità, ma l’affluenza è stata del 66,3 per cento, la più alta in trent’anni: che piaccia o no, il popolo si è espresso.

Il futuro è ancora incerto, ma con il possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca e la rinnovata forza dell’estrema destra, che sta scuotendo perfino la Germania, è lecito pensare che una distruttiva ondata populista simile a quella del 2016 si stia formando. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati