Dato che il leader di Hamas Yahya Sinwar, i suoi stretti collaboratori e i militanti dell’organizzazione non sono stati trovati nella città di Gaza e nemmeno a Khan Yunis, l’esercito israeliano sta considerando di prolungare la sua operazione di terra nella città meridionale di Rafah. L’esercito presume che Sinwar e i suoi uomini si nascondano nei tunnel sotto questa regione nel sud della Striscia di Gaza, presumibilmente con gli ostaggi israeliani ancora vivi.

La maggior parte degli abitanti della Striscia, circa 1,4 milioni di persone, è concentrata a Rafah. Decine di migliaia di persone stanno ancora arrivando qui da Khan Yunis, dove continuano i combattimenti. Il pensiero che Israele invada Rafah e che i combattimenti si svolgano in mezzo o vicino ai civili terrorizza i residenti della città e gli sfollati. Il loro terrore è aumentato dalla consapevolezza che nessuno può impedire a Israele di realizzare i suoi piani, nemmeno la Corte internazionale di giustizia (Cig) che ha ordinato a Tel Aviv di fare tutto il necessario per evitare atti di genocidio.

Verso Al Mawasi

I corrispondenti militari in Israele ipotizzano che l’esercito voglia ordinare agli abitanti di Rafah di spostarsi in un’area sicura. Dall’inizio della guerra l’esercito ha sbandierato questi ordini di evacuazione come prova del fatto che sta agendo per prevenire qualsiasi danno ai “civili non coinvolti”. La zona sicura, tuttavia, che è stata ed è ancora bombardata da Israele, si sta gradualmente riducendo. L’unico spazio rimasto, che l’esercito israeliano sta ora indicando alle persone a Rafah, è Al Mawasi, un’area costiera meridionale di circa 16 chilometri quadrati.

Non è ancora chiaro come faranno l’esercito e i suoi esperti legali a conciliare il fatto di ammassare tanti civili in uno spazio ristretto con gli ordini impartiti dalla Cig.

“La zona umanitaria individuata dall’esercito è grande quanto l’aeroporto internazionale Ben-Gurion, circa dieci chilometri quadrati”, hanno concluso i giornalisti di Haaretz Yarden Michaeli e Avi Scharf in un’inchiesta pubblicata l’8 febbraio e intitolata “I palestinesi di Gaza sono fuggiti dalle loro case. Non hanno un posto dove tornare”, che ha rivelato la vasta devastazione della Striscia usando le immagini satellitari. Il paragone con l’aeroporto fa pensare a una densità al di là di ogni immaginazione, ma i commentatori della tv israeliana non vanno oltre la profonda intuizione che l’invasione di Rafah “non sarà così semplice”.

In ogni caso, dobbiamo provare a immaginare cosa potrebbe accadere ai palestinesi a Rafah se il piano dell’esercito sarà realizzato. Dobbiamo farlo non tanto per preoccupazioni morali, che dopo il 7 ottobre non sono più così rilevanti per la maggior parte dell’opinione pubblica israelo-ebraica, ma per gli intrecci militari, umanitari e – in fin dei conti – legali e politici che si prospettano se percorriamo quella strada.

Anche se “solo” un milione di palestinesi fuggirà per la terza e quarta volta e andrà ad Al Mawasi – un’area che è già piena di sfollati – la densità sarà di circa 62.500 persone per chilometro quadrato. In un’area aperta, senza grattacieli per ospitare i rifugiati, senza acqua corrente, senza privacy, senza mezzi di sostentamento, ospedali o cliniche mediche, senza pannelli solari per caricare i telefoni, e tutto questo mentre le organizzazioni umanitarie dovranno attraversare o avvicinarsi alle zone in cui sono in corso i combattimenti per distribuire le piccole quantità di aiuti che entrano nella Striscia di Gaza.

Sembra che l’unico modo per contenere tutte queste persone in uno spazio così stretto è farle stare in piedi o in ginocchio. Forse sarà necessario formare dei comitati che stabiliranno i turni per dormire: alcune migliaia di persone si sdraieranno mentre le altre resteranno sveglie. Il ronzio dei droni, le grida dei neonati con le madri che non hanno latte o ne hanno poco saranno la snervante colonna sonora.

Non importa se un soldato spara a qualcuno perché si è sentito minacciato

Due ore prima

Da quello che abbiamo visto durante i raid dell’esercito israeliano e le battaglie nelle città di Gaza e Khan Yunis, è chiaro che l’operazione di terra a Rafah, se alla fine si farà, durerà molte settimane. Israele crede che la Cig giudicherà la costrizione di centinaia di migliaia o di un milione di palestinesi in un piccolo pezzo di terra una misura adeguata a impedire il genocidio?

Circa 270mila palestinesi vivevano nel distretto di Rafah prima della guerra. Il milione e mezzo che attualmente si trova lì soffre di fame e malnutrizione; soffre di sete, freddo, malattie e infezioni diffuse, pidocchi e sfoghi cutanei; soffre di stanchezza fisica e mentale e di una cronica mancanza di sonno. Si affolla nelle scuole, negli ospedali e nelle moschee, negli accampamenti di tende nati a Rafah e dintorni e negli appartamenti che ospitano le famiglie sfollate.

Decine di migliaia di persone sono ferite, comprese quelle a cui sono stati amputati gli arti a causa degli attacchi dell’esercito o in interventi chirurgici successivi. Tutte hanno parenti e amici – bambini, neonati e anziani – che sono stati uccisi negli ultimi quattro mesi.

Le case della maggior parte di loro sono state distrutte o gravemente danneggiate. Tutti i loro beni sono andati perduti. I soldi sono finiti a causa dei prezzi elevati o esorbitanti dei generi alimentari. Molte sono scampate alla morte solo per caso e hanno impresse le terribili immagini dei cadaveri. Non piangono ancora i morti perché il trauma continua. Oltre al sostegno e alla solidarietà reciproca, ci sono anche litigi e scontri. Per la sofferenza qualcuno perde la memoria e la salute mentale. Come ha fatto in altre aree della Striscia, per mantenere l’effetto sorpresa l’esercito israeliano diffonderà un avviso circa due ore prima di un’invasione di terra a Rafah. Questo darà ai residenti poco tempo per lasciare la città.

Immaginate il convoglio di rifugiati e il panico delle persone in fuga verso Al Mawasi, a ovest. Pensate agli anziani, ai malati, ai disabili e ai feriti che avranno la “fortuna” di essere trasportati su carretti trainati da asini o carriole improvvisate e in auto che funzionano con olio da cucina. Tutti gli altri, malati o sani, dovranno partire a piedi. Forse lasceranno il poco che sono riusciti a portare con sé nei trasferimenti precedenti, come coperte e teli di plastica per ripararsi, vestiti caldi, un po’ di cibo e oggetti essenziali come piccoli fornelli.

Questa fuga forzata passerà probabilmente accanto alle macerie di edifici che Israele ha bombardato poco tempo fa, o ai crateri provocati sulla strada dai bombardamenti. L’intero convoglio rimarrà fermo fino a quando non si troverà una deviazione. Qualcuno inciamperà, una ruota rimarrà bloccata nel fango. E tutti – affamati e assetati, spaventati dall’imminente attacco – continueranno ad andare avanti. I bambini piangeranno e si perderanno. Le persone si sentiranno male. Le squadre mediche faranno fatica a raggiungere chi ha bisogno di cure.

Solo quattro chilometri separano Rafah da Al Mawasi, ma ci vorranno ore per percorrerli. Le persone in marcia saranno tagliate fuori da qualsiasi comunicazione. Litigheranno per lo spazio in cui vogliono montare una tenda. Litigheranno per chi si troverà più vicino a un edificio o a un pozzo d’acqua. Perderanno i sensi per la sete e la fame.

Chi va e chi resta

Quest’immagine si ripeterà più volte nei prossimi giorni: un corteo di palestinesi affamati e spaventati che comincia a fuggire in preda al panico ogni volta che l’esercito israeliano annuncia un’altra area da evacuare, mentre i carri armati e le truppe di fanteria avanzano. I bombardamenti e le truppe di terra che si avvicinano agli ospedali ancora in piedi. I carri armati che li circondano e tutti i pazienti e le squadre mediche che devono andare nell’affollata area di Al Mawasi.

È difficile sapere quanti decideranno di rimanere dove sono. Come abbiamo visto nei distretti settentrionali di Gaza e a Khan Yunis, un numero significativo di abitanti preferisce restare in un’area destinata a un’operazione di terra. Tra loro ci saranno decine di migliaia di sfollati, malati e persone gravemente ferite, donne incinte e altri che sceglieranno di stare nelle loro case, in quelle dei parenti o nelle scuole trasformate in rifugi. Le poche informazioni che riceveranno dall’area di raduno di Al Mawasi basteranno a convincerli a non andarci.

I soldati e i comandanti dell’esercito israeliano, tuttavia, interpretano l’ordine di evacuazione in modo diverso: chiunque resta in un’area destinata a un’invasione di terra non è considerato un civile innocente; non è considerato “non coinvolto”.

Chiunque rimane nella sua casa ed esce per andare a prendere l’acqua in una struttura cittadina ancora in funzione o in un pozzo privato, gli operatori sanitari chiamati a curare un paziente, una donna incinta che va a piedi in un ospedale vicino per partorire: tutti, come abbiamo visto durante la guerra e nelle campagne militari passate, sono criminali agli occhi dei soldati. Sparare e ucciderli è previsto dalle regole di ingaggio delle forze armate israeliane.

L’esercito sostiene di rispettare il diritto internazionale, perché questi individui sono stati avvertiti che devono andarsene. Anche quando i soldati irrompono nelle case durante i combattimenti, i palestinesi, soprattutto uomini, rischiano di essere uccisi. Non importa se un soldato spara a qualcuno perché si è sentito minacciato o ha eseguito un ordine. È successo a Gaza e potrebbe succedere a
Rafah.

Le squadre di soccorso non sono autorizzate o non sono in grado di raggiungere il nord della Striscia di Gaza per distribuire da mangiare, e non potranno farlo nemmeno nelle aree di combattimento a Rafah. Il poco cibo che i residenti sono riusciti a mettere da parte si esaurirà gradualmente. Chi resta sarà costretto a scegliere il male minore: uscire e rischiare il fuoco israeliano o morire di fame a casa. La maggior parte soffre già di una grave malnutrizione. In molte famiglie gli adulti rinunciano a un pasto per poter sfamare i figli. C’è il rischio concreto che molti muoiano di fame in casa mentre fuori infuriano i combattimenti.

Trappola mortale

Dall’inizio della guerra, l’esercito ha bombardato edifici residenziali, aree aperte e macchine in tutti i luoghi che aveva definito “sicuri” (che gli abitanti non dovevano lasciare). Non importa se gli attacchi prendono di mira strutture di Hamas, funzionari del gruppo o altri affiliati che stavano con i parenti o erano usciti dai nascondigli per andarli a trovare: quasi sempre i civili rimangono uccisi.

I bombardamenti non si sono fermati nemmeno a Rafah. Nella notte tra il 7 e l’8 febbraio due case sono state bombardate a Tel al Sultan, un quartiere occidentale della città. Secondo fonti palestinesi, sono state uccise quattordici persone, tra cui cinque bambini. Le fonti hanno anche detto che una madre e una figlia sono morte in un attacco israeliano contro un’abitazione nel nord della città il 7 febbraio e che un giornalista è stato ucciso insieme alla madre e alla sorella nella parte occidentale il giorno prima. Sempre il 6 febbraio, hanno aggiunto le fonti, sei agenti di polizia palestinesi hanno perso la vita in un attacco israeliano mentre stavano mettendo in sicurezza un camion di aiuti nella zona orientale di Rafah.

Questi attacchi indicano che i cosiddetti calcoli dei danni collaterali approvati dagli esperti legali dell’esercito e dalla procura d’Israele sono molto permissivi. Il numero di palestinesi non coinvolti che è “permesso” uccidere per colpire un obiettivo è più alto che in qualsiasi guerra precedente.

La persone a Rafah temono che l’esercito israeliano applichi questi criteri anche ad Al Mawasi e che, se un obiettivo si trova nell’area, attaccherà tra i profughi. È così che un presunto rifugio diventa una trappola mortale per centinaia di migliaia di persone. ◆ dl

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

Amira Hass è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz.

Da sapere
Misure d’emergenza

◆ Il 13 febbraio 2024 il Sudafrica ha annunciato di aver presentato il giorno prima una nuova richiesta alla Corte internazionale di giustizia perché valuti se il piano israeliano di lanciare un’offensiva di terra a Rafah impone ulteriori misure di emergenza per proteggere i diritti dei palestinesi.

◆ Due giornalisti di Al Jazeera sono stati gravemente feriti da un bombardamento israeliano a Rafah il 13 febbraio. Si tratta di Ismail Abu Omar e del cameraman Ahmad Matar.

◆ Il 12 febbraio Israele ha affermato di aver liberato due ostaggi a Rafah, nel corso di un’operazione notturna che secondo Hamas ha causato un centinaio di vittime. Gli ostaggi liberati sono Fernando Simon Marman e Louis Har, rispettivamente di sessanta e settant’anni. Reuters, Afp


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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati