Editoriali

Israele vuole il caos

Ogni giorno che passa rivela in modo più chiaro le sofferenze dei palestinesi e anche ciò che è diventato lo stato di Israele. Secondo le stime di quello che resta del servizio sanitario controllato da Hamas, il 29 febbraio il numero di morti palestinesi ha superato i trentamila. Sempre il 29 febbraio c’è stata l’ennesima tragedia nella guerra scatenata da Tel Aviv in risposta ai massacri di Hamas del 7 ottobre 2023. Vicino a Gaza un convoglio di aiuti alimentari è stato preso d’assalto dai civili affamati. È scoppiato il caos e i soldati israeliani che erano in zona hanno aperto il fuoco, come ha ammesso anche l’esercito di Tel Aviv. Decine di palestinesi sono morti.

L’evento mostra le conseguenze della decisione d’Israele di ostacolare la consegna di aiuti indispensabili, spingendo milioni di persone verso la carestia.

Non si tratta di un incidente isolato. Al contrario, rivela ciò che lo stato ebraico vorrebbe fare nella Striscia di Gaza dopo un’operazione militare di cui non si intravede la fine, e questo nonostante abbia fallito nel raggiungere i due obiettivi dichiarati: la liberazione degli ostaggi e l’eliminazione di Hamas. Dopo aver trasformato la Striscia in un cumulo di macerie, Israele sembra voler distruggere qualsiasi forma di amministrazione, non solo quella dell’organizzazione islamista. Lo dimostra il tentativo di abolire l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che svolge un ruolo fondamentale a Gaza.

Il piano di Israele è confermato dall’irremovibile rifiuto del primo ministro Benjamin Netanyahu di sostenere il ritorno nella Striscia di un’Autorità nazionale palestinese “rivitalizzata”, come proposto dal presidente statunitense Joe Biden. Tel Aviv preferisce il caos.

Gli alleati di Israele, a cominciare dagli Stati Uniti, che armano lo stato ebraico senza preo­ccuparsi dei crimini di guerra che sta commettendo, come anche i paesi europei, devono prendere una posizione chiara. Possono continuare a sostenere la strategia israeliana, che punta a ripristinare (con condizioni molto peggiori) la situazione precedente al 7 ottobre, quando la Striscia era soffocata con un impietoso blocco terrestre e marittimo e la Cisgiordania era devastata dalla colonizzazione israeliana. Così sarebbero complici dei crimini dello stato ebraico.

Ma possono anche decidere d’imporre un nuovo rapporto di forze, riconoscendo che la protezione dei civili, in una terra su cui Israele non ha alcun diritto riconosciuto a livello internazionale, è essenziale per una soluzione politica. Una svolta di questo tipo è difficile, soprattutto dopo anni di vile disinteresse. Ma l’alternativa sarebbe rassegnarsi alla vergogna. ◆ as

Una vittoria per tutte le donne

È passato più di un anno e mezzo da quando la corte suprema degli Stati Uniti ha cancellato il diritto all’aborto a livello federale. Dopo quella decisione molti stati governati dai conservatori hanno vietato le interruzioni di gravidanza, alcuni (Alabama, Texas e Mississippi) anche nei casi di stupro o incesto. Il 28 febbraio in Francia un gruppo di senatori e senatrici ha fatto riferimento alle sofferenze delle donne statunitensi, ungheresi e polacche per sostenere la necessità d’inserire il diritto all’aborto nella costituzione francese. Pochi giorni dopo il parlamento ha approvato la proposta.

È un atto storico e inderogabile, anche se alcuni sostengono che sia impossibile tornare indietro sui diritti delle donne a disporre del proprio corpo. Polonia e Ungheria hanno dimostrato che non è così. Come ha scritto la militante francese Annie Chemla, “il trauma dell’inversione di rotta negli Stati Uniti ci ha fatto capire che questo diritto non può essere dato per scontato”.

Le francesi possono esultare per essere riuscite, attraverso le manifestazioni di piazza, a condizionare l’operato dei politici. Le parlamentari di sinistra, di destra e della maggioranza possono essere fiere di aver condotto una battaglia trasversale. “Niente è garantito per sempre. Basta una crisi politica, economica o religiosa per rimettere in discussione i diritti delle donne”, scriveva Simone de Beauvoir. A tre mesi dalle elezioni europee e mentre l’estrema destra reazionaria vola in testa ai sondaggi, sarebbe bene non dimenticarlo. ◆ as

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1553 - 8 marzo 2024
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