In una grande villa, immersa in una folta foresta dove sembra profilarsi una tempesta, si trovano riunite delle persone che non si conoscono. È il tema-archetipo di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie: come lì, le condizioni ambientali isolano progressivamente gli invitati. Il loro ospite è in uno stato di perenne dormiveglia, conferendo una sottile ironia a questo paradigma dell’Autore in stato di crisi creativa, forse irreversibile. Gli invitati sono i personaggi dei graphic novel concepiti da Vilella in più di trent’anni di carriera, tra cui il commissario Italo Grimaldi, Il MiticOperaio Pietro Sartorio, il pittore Giorgio De Chirico, il compositore Erik Satie. Ma è un invito a cena senza delitto e tutti ritrovano l’umanità, non solo la propria. Sebastiano Vilella, tra gli autori italiani di fumetto più significativi, si muove su una linea sottilissima di demarcazione (ir)reversibile, proprio come quella tra la vita e il sogno, tra la vita e la morte, opposizioni amalgamate in perfetta osmosi. Una realtà “altra” è nascosta dietro allo specchio, dietro alla nostra realtà finita c’è un infinito. Il tutto immerso in una “selva oscura” da fine del mondo (rinviata?), una natura che si adombra per via dello stato d’animo dell’uomo. Atmosfere di rara potenza evocano uno dei capolavori di Vilella, Friedrich. Lo sguardo infinito. Caspar Friedrich, il grande pittore romantico, è qui puro spirito (panteista) di una natura che tutto pervade. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati