Negli ultimi decenni l’identità del partito libanese Hezbollah è diventata sempre più complessa, a mano a mano che il gruppo ha diversificato le sue attività. Creato dai Guardiani della rivoluzione iraniana all’inizio degli anni ottanta, da allora è stato un movimento di resistenza, un partito-milizia, un’organizzazione a sfondo sociale, una mafia internazionale e una forza militare regionale. Può permettersi di mostrare, a seconda delle circostanze, varie identità senza mai rinunciare totalmente alle altre. È questa la sua forza principale, che al tempo stesso rende così difficile comprenderlo e combatterlo.

Ma più gioca un ruolo di primo piano in Libano, più Hezbollah perde una parte della sua identità. Invece di dare forza al sogno di “liberare la Palestina”, la “vittoria divina” nella guerra del Libano contro Israele nel 2006 l’ha incoraggiato a consolidare la posizione nel suo paese. Fino a diventare, dieci anni dopo, una specie di Leviatano. Invece di indebolire il movimento, gli interventi in Siria, in Iraq e nello Yemen gli hanno dato la sensazione di poter svolgere un ruolo su scala regionale, atteggiandosi a grande esecutore della politica iraniana in Medio Oriente. In appena quindici anni Hezbollah è così diventato il dominatore dei giochi in Libano – anche se una parte della popolazione lo contesta – e un protagonista del mondo arabo.

Il gruppo libanese riconosce l’esistenza dello stato ebraico. Continuerà a tenere viva la retorica sulla “resistenza”. Ma vuole congelare a tempo indeterminato il conflitto

Il movimento, però, ha conquistato il nuovo status sacrificando la volontà di affrontare il nemico originale. La frontiera israelo-libanese è rimasta calma per diciassette anni e nel 2022 la milizia è arrivata al punto di dare il via libera alla firma di un accordo sulla delimitazione delle frontiere marittime con lo stato ebraico. All’epoca il partito aveva spiegato che l’accordo non rappresentava una forma di normalizzazione e si limitava a questioni tecniche. Ma questo non aveva ingannato nessuno: Hezbollah non aveva rinunciato alla “resistenza” e ha dimostrato di avere altre priorità, a cominciare dalla stabilizzazione delle conquiste in Libano e nel mondo arabo.

Il sanguinoso attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre in un primo tempo ha stravolto questa equazione. Hezbollah, al pari di Hamas, ha nascosto per anni il suo gioco al fine di preparare un attacco di vasta portata? O ne è stato colto alla sprovvista, come sostiene? Tre mesi dopo, la domanda resta irrisolta. È assodato invece che a partire dall’8 ottobre, data dell’inizio delle ostilità con Israele, il partito sciita sta facendo di tutto per evitare l’inizio di una guerra totale. Lo stato israeliano ha colpito il territorio libanese, ucciso civili, assassinato il numero due di Hamas alla periferia sud di Beirut e ha già ucciso 158 combattenti di Hezbollah, ma il movimento continua a combattere rispettando le regole d’ingaggio.

La presenza delle portaerei statunitensi nella regione, inviate proprio per dissuadere il movimento, ha certamente avuto l’effetto auspicato. La formazione filoiraniana sa che i rapporti di forza le sarebbero troppo sfavorevoli e che una guerra aperta contro Israele potrebbe indebolirla, o addirittura portare alla sua cancellazione. Non può correre questo rischio. La sua priorità è mantenere il dominio in Libano e l’influenza dell’Iran nella regione, e non “liberare la Palestina”.

Hezbollah non è più quello del 2006, perché oggi ha molto più da perdere. È diventato l’azionista principale dello stato libanese e deve comportarsi come tale. È pronto a entrare in guerra per salvare il regime siriano di Bashar al Assad; è pronto a tutto per evitare che la giustizia faccia il suo corso nel caso dell’assassinio del primo ministro libanese Rafiq Hariri o in quello della doppia esplosione al porto di Beirut; ma non vuole lanciarsi in una nuova avventura militare contro Israele.

Il comportamento del gruppo libanese rivela la sua evoluzione. Non solo non ha rimesso in discussione la strada presa dopo il 2006, ma ne sta accelerando la mutazione. Al punto che il segretario Hassan Nasrallah si dice aperto a dei colloqui con il nemico sul dopoguerra.

Il fatto che Hezbollah accetti di negoziare il ritiro israeliano dai territori occupati dopo la guerra del 2006, che sono al centro della sua retorica per giustificare il rifiuto di abbandonare le armi, è senza precedenti. Questo implica che in qualche modo il partito riconosce l’esistenza dello stato israeliano e che non ha più intenzione di combattere il suo nemico sul fronte meridionale. Non vuole la pace e continuerà a mantenere la sua retorica sulla “resistenza”. Ma è pronto a congelare a tempo indeterminato il conflitto.

Dopo il 2006 Hezbollah si è libanizzato. Non perché agisce nell’interesse del Libano anziché dell’Iran, ma nel senso che il destino di Beirut è legato intrinsecamente al suo. Lo stato, ormai, è Hezbollah, che vorrebbe rimanere così. Senza rivali. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati