Christolina Uhlaleleni Ndloyu lavorava da cinque anni come collaboratrice domestica a Soweto, una township di Johannesburg, quando nel 2021 ha sentito parlare per la prima volta dell’app per i servizi di pulizia SweepSouth. Sperando di poter lavorare in condizioni migliori, Ndloyu ha scaricato l’app, ha frequentato il corso di formazione di cinque giorni e ha superato il test d’ingresso obbligatorio. Nelle prime due settimane ha ottenuto diversi lavori in cui i clienti le davano mance generose, una cosa che non le era mai successa prima. “Tornavo a casa al massimo alle tre del pomeriggio, dopo aver cominciato a lavorare alle otto del mattino”, ha raccontato. “Il futuro nel settore dei lavori occasionali mi appariva roseo. I soldi mi arrivavano tutte le settimane. Per la prima volta dopo tanti mesi la mia situazione sembrava stabile”.

Lanciata nel 2014, l’app SweepSouth ha aiutato migliaia di donne come Ndloyu a partecipare al boom della cosiddetta gig economy (un modello economico basato su prestazioni lavorative temporanee). Mentre in Sudafrica più del 96 per cento degli autisti di Uber sono uomini, la maggior parte degli 1,2 milioni di persone registrate su SweepSouth sono donne. SweepSouth è diventata la prima startup sudafricana a entrare nel prestigioso programma 500 Global, un fondo della Silicon valley che finanzia progetti imprenditoriali. Ma se è vero che l’azienda è riuscita ad aprire le porte della gig economy alle donne, deve ancora risolvere alcuni problemi. Dieci addette alle pulizie iscritte all’app hanno raccontato che spesso i clienti gli chiedono di lavorare delle ore in più per svolgere compiti non previsti, quindi non pagati. Non hanno protestato perché temono ritorsioni se i clienti dovessero lamentarsi.

Il problema delle lavoratrici della gig economy costrette a svolgere ore di lavoro non retribuite non riguarda solo il Sudafrica. Secondo il rapporto 2023 della Fair­work, un progetto di ricerca che studia l’impatto della tecnologia sul lavoro, “la partecipazione delle donne alla gig economy è prevalente nel settore della bellezza, della cura e del lavoro domestico. Molte piattaforme però non riescono a fare in modo che le lavoratrici ricevano tutta la paga dovuta, con la conseguenza che non solo svolgono compiti senza essere pagate, ma sono poco protette dalle molestie e dagli abusi sul luogo di lavoro”. Lo studio della Fairwork ha analizzato i dati relativi agli ultimi quattro anni e ha coinvolto 38 paesi e più di 190 piattaforme, intervistando cinquemila persone.

Ndloyu racconta che nel dicembre del 2022 è stata bloccata dall’app dopo aver rifiutato la richiesta di un cliente di fare straordinari non pagati. “Non ho mai avuto la possibilità di difendermi”, ha detto. E ha aggiunto che in precedenza le era successo di accettare offerte simili, per esempio quando i clienti le chiedevano lavori di giardinaggio anche se l’avevano ingaggiata solo per le pulizie in casa.

Pratiche antiche

Senza riferirsi al caso di Ndloyu, il portavoce di SweepSouth, Luke Kannemeyer, ha dichiarato che l’azienda è a conoscenza di casi simili e che quando arriva una denuncia contatta i clienti per chiarirgli le regole della piattaforma. “Ogni ora in più sarà sempre remunerata, anche se il cliente rifiuta di pagare”, ha scritto in un’email, aggiungendo che l’azienda mette a disposizione diversi canali attraverso cui è possibile esprimere timori o lasciare commenti. “È nel dna della nostra azienda, fondata proprio per mettere fine a pratiche antiche nel settore del lavoro domestico in Sudafrica attraverso la tecnologia e per favorire un trattamento più giusto, equo e dignitoso delle lavoratrici domestiche”, ha scritto Kannemeyer.

Maggie Nthombeni, presidente della Iwzi domestic workers alliance, un’organizzazione che rappresenta le persone occupate nei lavori domestici a Johannesburg, ha riferito che diverse iscritte a Sweep­South si sono lamentate perché l’azienda ascolta di più i reclami dei clienti. “Quando abbiamo cercato di segnalare alcuni problemi, ha respinto ogni responsabilità, sostenendo che si tratta di lavoratrici autonome e che tocca a loro risolvere le questioni con i clienti”, ha detto Nthombeni.

Nel 2021, a una riunione di gruppi di difesa delle persone che svolgono lavori domestici, Pinky Mashiane, fondatrice del sindacato United domestic workers of South Africa, aveva denunciato lo sfruttamento degli addetti alle pulizie che lavorano attraverso le app, ma non aveva potuto fare molto per loro. “SweepSouth”, ha spiegato Mashiane, “licenzia le persone in modo illegale, ma la fa franca perché colpisce lavoratori non iscritti al sindacato. La rivoluzione del lavoro basato sulle piattaforme online espone al rischio di sfruttamento”.

Una madre single

Faith (ha chiesto di essere indicata con uno pseudonimo per paura di ritorsioni da parte di SweepSouth), una madre single con tre figli, nel 2016 ha lasciato un lavoro a tempo pieno nel settore delle pulizie di una fabbrica per passare al lavoro domestico. All’inizio ha avuto difficoltà a trovare clienti. Poi nel 2018 si è iscritta a SweepSouth dopo che un’amica gliene aveva parlato. Negli ultimi cinque anni ha avuto “esperienze di ogni genere”, racconta. Alcuni clienti l’hanno fatta aspettare per ore senza pagarla prima che lei potesse cominciare a lavorare, mentre altri le hanno chiesto di fare il bucato o di pulire il cortile anche se era stata ingaggiata solo per pulire in casa. Si è arresa a queste richieste perché ha paura di essere bloccata dall’app in seguito al reclamo di un cliente. “Ho perso il conto delle volte in cui i clienti mi hanno costretto a lavorare alcune ore in più senza pagarmi”, ha detto. Ma resta sulla app perché crede di non avere altra scelta: “Anche se non siamo contente, con chi dovremmo parlare, visto che l’azienda non ci dà la possibilità di fare reclamo?”.

Tuttavia c’è anche chi pensa che l’app possa essere un ottimo punto di partenza per le donne che vogliono migliorare la loro situazione economica. Per esempio Siziwe Ncube, che lavora con SweepSouth dal 2018. “Grazie ai soldi che guadagno lavorando per due giorni alla settimana, ho potuto continuare l’università”, dice. “Voglio un lavoro con un salario più alto e proseguire con gli studi. Non è facile, ma mi sto dando da fare per avere un futuro migliore, e questo mi spinge a non mollare”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati