Nel 2003 le persone impegnate nella prevenzione del tumore al collo dell’utero ricevettero una notizia straordinaria. Erano usciti i risultati di uno studio di quattro anni su un possibile vaccino per la forma del virus hpv 16 che causa questo cancro: delle 2.400 volontarie a cui era stato somministrato, nessuna aveva contratto l’infezione. Neanche una. Io, che lavoravo come ginecologa specializzata in ostetricia da dodici anni, sapevo che stavo assistendo a un miracolo.

Oggi, vent’anni più tardi, questo tumore continua a uccidere – una donna ogni due minuti – e i casi sono in aumento: 604mila nel 2020, che secondo le stime dovrebbero diventare 855mila entro il 2040. Significa milioni di decessi e deturpazioni, oltre alla perdita della sessualità e della fertilità per le sopravvissute. È scandaloso.

È anche la prova che la scienza non basta, per quanto vorrei che fosse vero il contrario. Le sue scoperte cambiano davvero il mondo solo quando superano ostacoli politici, economici e culturali. Noi, i ricercatori impazienti di condividerle, dobbiamo capirlo, intervenire e prepararci.

Ogni vaccino che esce dal laboratorio entra in un contesto dominato da domanda e offerta, in cui la lealtà del mercato al miglior offerente consente a paesi come gli Stati Uniti, che possono permettersi di pagare 160 dollari per una dose contro l’hpv, di acquistare tutte quelle di cui hanno bisogno. I paesi poveri fanno affidamento sulle sovvenzioni della Gavi, un ente di cooperazione internazionale, che ha negoziato un prezzo di 4,55 dollari a dose, e ricevono il vaccino solo dopo che la domanda dei paesi ricchi è stata soddisfatta. A causa della scarsa disponibilità a livello mondiale – soprattutto perché fino a non molto tempo fa il grosso delle dosi era prodotto da una sola casa farmaceutica – nel 2018 sono rimasti senza vaccino 34 milioni di ragazze in paesi che non possono nemmeno finanziare lo screening e la cura del cancro della cervice uterina. I paesi intermedi – troppo “ricchi” per ottenere le sovvenzioni, ma non abbastanza per acquistare il vaccino – non hanno nessun accesso al mercato. Non è una questione di scienza, ma di economia, politiche pubbliche e condivisione delle risorse, tutte cose di cui noi scienziati dovremmo occuparci se vogliamo che il nostro lavoro serva davvero a qualcosa.

Un altro ostacolo alle potenzialità del vaccino contro l’hpv è rappresentato dalle infrastrutture e dalla distribuzione. Le normali campagne di vaccinazione riguardano i bambini piccoli, mentre questo è destinato alle ragazze tra i 9 e i 14 anni. Aggiungere una nuova voce all’elenco delle vaccinazioni di un paese significa stoccare, programmare, formare e altre questioni logistiche. Non c’è niente di scientifico, ma è fondamentale affinché le ricerche mediche uscite dal laboratorio possano arrivare ai loro destinatari.

Pregiudizi infondati

Le sfide più problematiche per la prevenzione del tumore al collo dell’utero, però, dipendono dal fatto che le principali destinatarie del vaccino sono ragazze e che il suo bersaglio è una malattia a trasmissione sessuale. E questo, sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri, si scontra con paure di natura culturale, pregiudizi e disuguaglianze. L’idea che il vaccino incoraggi le ragazze alla promiscuità è ancora diffusa, anche se è stata completamente smentita. E le accuse di effetti collaterali, anche queste infondate, hanno causato un drastico calo delle vaccinazioni in Giappone, che in dieci anni sono passate dal 70 per cento a quasi zero. Dalla pandemia di covid-19 la maggior parte di noi ha la dolorosa consapevolezza che contro la disinformazione la scienza da sola è impotente e ha bisogno di messaggi forti delle autorità sanitarie e di una solida fiducia.

Se nel 2003 pensavo di poter assistere all’eliminazione di un cancro nel corso della mia vita, oggi su cinque ragazze idonee solo una riceve la vaccinazione contro l’hpv. Ormai so che la ricerca da sola non basta. Per realizzare tutte le potenzialità di cambiamento di questo vaccino dobbiamo occuparci anche di politica, economia e cultura. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati