C’è una vecchia lamentela su Los Angeles. Gli intellettuali di Weimar che scapparono qui negli anni trenta amavano il sole e il clima, ma dissero che mancava una cultura civica. A Los Angeles non c’era la società dei caffè che si trovava a Parigi o a Berlino. C’erano consumatori che a bordo delle loro auto si aggiravano tra distese di villette monofamiliari. Quasi cent’anni dopo quegli insofferenti non si stupirebbero troppo nel sapere che una gigantesca insegna pubblicitaria in cima a una collina, controllata giorno e notte dalle telecamere, è ancora oggi la cosa più simile a una piazza che Los Angeles possa offrire.

La scritta “Hollywood”, pensata originariamente come pubblicità di un’operazione immobiliare, nel 2023 compie cent’anni. E, come ogni vera star, si è tirata a lucido in vista del grande giorno: si è sottoposta a varie ristrutturazioni di cui si è molto parlato e il suo ufficio stampa (sì, ha un ufficio stampa) ha preparato una grande copertura sui mezzi d’informazione, con molti eventi e con il lancio di una raccolta di fondi per aumentare i servizi per i turisti.

È una soleggiata domenica di gennaio e i sentieri sotto la scritta sono pieni di persone in tenuta sportiva che sollevano le mani o contorcono il corpo per farsi fotografare mentre creano l’illusione che stiano toccando o sorreggendo le lettere.La scritta di Hollywood è forse uno dei luoghi più riconoscibili al mondo, ma arrivarci vicino è complicato e tortuoso. Le lettere si trovano quasi sulla cima di una collina ripida e brulla a cui fanno la guardia coyote selvaggi e serpenti a sonagli.

Non ci si può andare in auto e le indicazioni del navigatore per arrivarci a piedi potrebbero essere sbagliate. Alcuni scelgono d’inerpicarsi fino alla scritta attraverso uno dei sentieri che partono da Griffith park, un’area verde di circa 1.600 ettari. Altri preferiscono una scorciatoia non proprio legale che attraversa Beach­wood canyon, un quartiere abitato da gente benestante sulle colline intorno alla scritta, dove non ci sono marciapiedi ed è proibito parcheggiare.

Tirata a lucido

Se si cerca su Google maps come raggiungere in auto la scritta, il navigatore indica la strada fino all’osservatorio Griffith. Il parcheggio costa dieci dollari l’ora. Da lì si sale sulla collina. Ma anche da lassù non si può fare altro che ammirare le lettere attraverso un gigantesco recinto di filo spinato sorvegliato dalla polizia di Los Angeles. La recinzione non si può oltrepassare, ma chi ci riesce, magari grazie a una visita organizzata per la stampa come è capitato a me, potrà ammirare un panorama magico.

Le persone che incontrano le star del cinema dicono spesso che viste dal vero sono bellissime, ma sembrano più basse. La scritta di Holly­wood fa l’effetto opposto: è magnifica e di dimensioni scioccanti. Dietro le lettere gigantesche Los Angeles brilla in lontananza.

È facile capire come mai, nonostante i vari ostacoli da superare, i turisti continuino a venire qui. “In una città che non ha un centro, sembra una buona alternativa”, spiega Jesse Holcomb, uno dei responsabili delle relazioni pubbliche della scritta.

Come la torre Eiffel, anche la scritta “Hollywood” doveva essere temporanea, costruita per durare appena diciotto mesi per sponsorizzare il progetto immobiliare Hollywood­land. Ma l’insegna è rimasta, gestendo con successo il passaggio da nuova arrivata un po’ sfacciata a icona riconosciuta che oggi presiede la città dei sogni con la stessa autorevolezza di Meryl Streep o Judi Dench.

Il percorso da pubblicità pacchiana a gran signora non è stato facile. Nei decenni la scritta di Hollywood ha dovuto superare tragedie, abbandoni, cattive recensioni e richieste di smantellamento. Come è accaduto a molte stelle del cinema, il processo di consacrazione ha richiesto un cambio di nome e ripetuti lifting, che in questo caso consistevano in varie mani di vernice bianca, oltre al monitoraggio dell’erosione da parte degli esperti.

Non si sa esattamente quando la società immobiliare fece montare sulla collina le lettere, che in origine componevano la parola Hollywood­land. Questo genere di pubblicità raramente finisce sui giornali, anche se uno dei soci, Harry Chandler, era editore del Los Angeles Times. La prima menzione in un quotidiano dell’insegna “elettrica”, che inizialmente di notte era piena di luci scintillanti, risale al dicembre 1923. Il cantiere del complesso che promuoveva era cominciato all’inizio di quell’anno.

Le lettere salirono tristemente agli onori della cronaca nel 1932, quando Peg Entwistle, 25 anni, un’attrice britannica che voleva diventare un stella del cinema, si suicidò sotto la scritta. Così l’insegna diventò un simbolo del fascino e dei pericoli dell’industria cinematografica. Durante la grande depressione la società immobiliare ebbe delle difficoltà finanziarie e dovette chiudere.

“È ingenuo dire che Hollywood, o qualsiasi altra città, sia irreale”, scrisse l’autore britannico Christopher Isher­wood poco dopo il suo arrivo nel 1939, mentre cercava un appartamento negli attraenti quartieri sotto l’insegna “Hollywoodland”. “Ma la prima cosa che si vede arrivando qui”, scrisse, “è la pubblicità di una città che non esiste”.

Negli anni quaranta le lettere furono consegnate ufficialmente all’amministrazione locale perché erano fatiscenti e pericolanti. “Una recente tempesta ha reso Hollywoodland cockney” (un riferimento alla classe proletaria di Londra), notava il Los Angeles Times nel 1944, con l’insegna ormai troncata in “Olly­woodland”. Nel 1949 la camera di commercio di Hollywood finalmente trovò un accordo per restaurare la scritta, rimuovendo l’ultima parte, “land”.

I coyote selvatici mi trottavano accanto, rivolgendomi sguardi colmi di risentimento perché non ero abbastanza piccola da poter essere mangiata

Negli anni settanta con la scritta di nuovo in condizioni di abbandono, le lettere originali furono finalmente sostituite grazie a una campagna di sensibilizzazione guidata da Hugh Hefner, fondatore della rivista Playboy. Le dimensioni dell’insegna diventarono motivo di orgoglio: da quel giorno è lunga 130 metri, con lettere alte 13 metri, e pesa 217 tonnellate tra cemento e acciaio.

In anni più recenti è stata teatro di vari scherzi, che hanno visto le lettere mutate in “Holly­weed” (weed nel senso di marijuana) e “Holly­boob” (boob, tetta), ed è una delle ambientazioni preferite dei film catastrofici, finendo per essere distrutta sul grande schermo almeno otto volte.

Ha circolato la notizia che alcuni pezzi dell’insegna originale siano stati messi all’asta online e venduti in frammenti, una sorta di equivalente cinematografico delle reliquie della vera croce, anche se non è chiaro se si tratti di resti autentici. Si diceva anche che parti delle lettere originali in latta fossero state vendute come rottami. Oggi la scritta è onnipresente e irraggiungibile.

Gli abitanti di Los Angeles la vedono spesso riflessa nello specchietto retrovisore dell’auto o dai bar che hanno una terrazza sul tetto. Ma molti, pur vivendo in città da anni, non l’hanno mai visitata.

Da tempo si combatte ferocemente per l’accesso turistico al monumento: sono state fatte pressioni sulle aziende tecnologiche perché cambiassero le indicazioni gps per arrivare alla scritta. Ci sono state anche varie azioni legali, tra cui una che ha portato il municipio a bloccare un punto d’ingresso. I quartieri sotto le lettere sono pieni di segnali: “Da qui non si accede all’insegna di Hollywood”.

Alcuni ricchi residenti sostengono che i turisti, intasando le loro ripide e tortuose strade, siano una minaccia per la salute pubblica. “Se un’attrazione di Disneyland creasse un caos del genere la chiuderebbero in dieci secondi”, ha detto nel 2015 un abitante al Guardian, a proposito del turismo nella zona. Date le polemiche ho deciso di provare a percorrere alcuni dei sentieri. Sono partita dall’osservatorio Griffith, noto per le sue apparizioni in _ Rebel without a cause_ e La La Land e ho camminato per chilometri lungo una malconcia strada d’asfalto, con il lontano brontolio di un elicot­tero della polizia di Los Angeles come unica compagnia.

I coyote selvatici mi trottavano accanto, rivolgendomi sguardi colmi di risentimento perché non ero abbastanza piccola da poter essere mangiata.

Buoni propositi

Seguendo le indicazioni di Google maps invece della segnaletica stradale sono arrivata a uno stretto sentiero sterrato che mi ha portato lungo un precipizio. Ho pensato di essermi persa, ma altri turisti mi hanno confermato che mi trovavo sulla strada giusta. “È la via più facile”, mi ha rassicurato un uomo con il cappellino della squadra dei Dodgers mentre ero in bilico sulle rocce.

Una donna irlandese che ho incontrato vicino all’insegna mi ha raccontato che lei e i suoi amici avevano cominciato il cammino verso le lettere attraversando un campo e qualcuno gli aveva urlato di andarsene. Solo in seguito avevano trovato un sentiero per la vetta.

C’è una strada più breve che porta alla scritta, per chi non teme di incappare nella furia dei ricchi residenti. Lungo i tornanti di Deronda drive, a Beach­wood Canyon, c’è un accesso pedonale di solito circondato da auto parcheggiate in doppia fila mentre altri conducenti si affannano nel tentativo di fare inversione. Ho percorso quel sentiero, schivando Tesla lungo la vegetazione di Beach­wood canyon. Ho ripensato a quanto aveva annotato Bertolt Brecht nel 1941 nel suo diario, dove paragonava Los Angeles a “Tahiti sotto forma di grande città” e si lamentava del fatto che “un flusso incessante e abbagliante di automobili rimbomba nella natura”.

La ricca vegetazione di Los Angeles era a sua volta un’illusione. Infatti aggiunse: “Basta non pagare più le bollette dell’acqua e tutto smette di fiorire”.

Riconoscendo le continue difficoltà dei turisti diretti alla scritta, l’Holly­wood Sign Trust, la società che gestisce il monumento, ha annunciato che userà il centenario dell’insegna per raccogliere fondi destinati alla costruzione di un centro visitatori ufficiale, con un cinema, un museo, un negozio di souvenir, e, presumibilmente, dei bagni, di cui i turisti sentono la mancanza da anni.

“Ce lo chiedono gli abitanti del posto e i visitatori”, ha detto Jeff Zarrinnam, presidente della società, andando proprio sotto le lettere e sfoggiando una spilletta con una versione in miniatura della scritta. Sarebbe un’ottima soluzione, ma i luoghi proposti come sede del centro rischiano di tenere i turisti lontani: le vecchie stalle dei pony a Griffith park, a circa sei chilometri di distanza; un punto su Hollywood boulevard, a tre chilometri; dietro l’insegna di Hollywood, dall’altra parte della montagna.

L’inaccessibilità della scritta ha i suoi lati positivi. L’area intorno alle gigantesche lettere è rimasta una piccola zona di natura selvaggia: c’è una riserva per cervi, volpi, coyote e perfino per i celebri puma di Los Angeles. Sul pendio sterrato intorno all’insegna il silenzio è così assoluto che sembra quasi di poter sentire il sole che picchia o il fremito delle ombre degli uccelli che volano alti.

“Per qualche ragione, corvi e falchi volano sempre attorno alle lettere”, mi ha detto Jesse Holcomb. “Probabilmente si divertono a cavalcare il vento”. Holcomb mi ha permesso di camminare per qualche metro all’interno dell’enorme recinzione che protegge la scritta, ma ha detto che per motivi di sicurezza non eravamo autorizzati ad andare oltre. Sono arrivata il più vicino possibile alle lettere, tra ciuffi di fiori di campo.

E sì, ovviamente gliel’ho chiesto: non mi ha permesso di toccarle. ◆ nv

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati