Per studiare la storia dell’umanità di solito gli scienziati cercano indizi nelle ossa e nei manufatti dei nostri antenati, non sui minuscoli parassiti che ci infestano la testa e ci succhiano il sangue. Secondo uno studio pubblicato su Plos One, invece, la genetica dei pidocchi potrebbe far luce sull’epoca e sui luoghi in cui diversi gruppi di umani si sono separati o mescolati tra loro.

Gli autori ipotizzano che l’affinità genetica dei pidocchi europei e americani risalga alla colonizzazione europea delle Americhe. Secondo Mikkel Winther Pedersen, esperto di paleoecologia molecolare dell’università di Copenaghen che non ha partecipato allo studio, è addirittura possibile che i parassiti ci forniscano indizi su antichi rapporti che né il dna umano né i reperti archeologici hanno mai evidenziato. “Potrebbero mostrarci la migrazione e le interazioni umane da una nuova prospettiva”.

Chiara Dattola

I pidocchi (Pediculus humanus capitis) si attaccano ai capelli e si cibano del sangue del cuoio capelluto. Sono un nostro antico nemico: gente di tutto il mondo se ne lamenta da millenni. Dato che si diffondono solo tra gli umani sono ideali per ricostruire le migrazioni, spiega Marina Ascunce, biologa molecolare del ministero dell’agricoltura statunitense e principale autrice dello studio.

Gli scienziati avevano già dimostrato che la distribuzione globale dei ceppi di pidocchi rispecchia i movimenti di popolazione passati e contemporanei, e avevano fatto studi simili su altri parassiti come le cimici e su agenti patogeni come la tubercolosi e il batterio della peste nera. Ascunce si chiedeva se i pidocchi potessero offrirci maggiori dettagli sulla nostra storia. Insieme a colleghi di Argentina, Messico e altri paesi ha quindi cercato di ricostruire i rapporti passati tra gruppi di umani attraverso i marcatori genetici dei pidocchi, perché chi vive a stretto contatto ha gli stessi parassiti. Dopo aver riunito 274 esemplari provenienti da tutto il mondo, compresi quelli raccolti da loro nelle scuole messicane e argentine, ne hanno sequenziato il dna e isolato i segmenti corti ripetuti noti come microsatelliti. Siccome i loro possessori li hanno ereditati da un progenitore comune, i ricercatori hanno potuto suddividerli in famiglie affini. Da un gruppo di microsatelliti è emerso un legame genetico tra i parassiti asiatici e quelli dell’America centrale, che secondo Ascunce rispecchia le prime migrazioni umane dall’Asia orientale verso le Americhe.

Un altro gruppo collegava gli esemplari delle Americhe a quelli dell’Europa. In base alla velocità a cui i pidocchi si riproducono e accumulano le mutazioni genetiche che sfociano nei microsatelliti è stato possibile calcolare quando quelli dei nativi americani si sono ibridati con i cugini europei. La risposta più plausibile è all’incirca cinquecento anni fa, durante la colonizzazione europea. “È la prova che i pidocchi sono buoni indicatori dell’evoluzione e delle migrazioni umane”, spiega Ascunce. “Il loro dna si riflette nella nostra storia”.

Interazioni sconosciute

Alejandra Perotti, biologa dell’università di Reading specializzata in questi parassiti, trova interessante lo studio, ma aspetta che sia replicato su un campione più ampio e vario. Un solo esemplare proveniva dall’Africa, e quelli dell’America del sud erano relativamente pochi, limitando la capacità dei ricercatori di dedurre i collegamenti tra i vari pidocchi del mondo. Con il sequenziamento degli interi genomi gli scienziati disporranno di strumenti ancora più attendibili per individuare le affinità tra i gruppi di pidocchi e abbinarli alle popolazioni umane, passate e presenti.

Un potenziale vantaggio dei pidocchi come indicatori delle migrazioni umane consiste nel fatto che sono in grado di ibridarsi anche se i loro ospiti non lo fanno, dice Pedersen. I geni che hanno in comune possono quindi testimoniare gli incontri fra gruppi di persone, magari solo per scambi commerciali e non per accoppiarsi. “Sarà successo tante volte, forse la maggior parte”, aggiunge. In quei casi l’esame dei parassiti “potrebbe portare alla luce interazioni del tutto nuove”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati