I giovani ricercatori riuniti sul tetto del laboratorio di ingegneria del California institute of technology (Caltech) a Pasadena, in una tiepida sera di maggio, non pensavano di fare la storia. Dopo una giornata passata a preparare le apparecchiature per testare un satellite a energia solare, il professore a capo del progetto ha detto ai suoi collaboratori di andare a mangiare un boccone e di tornare.

“Erano quasi le dieci di sera e ci siamo detti, ‘Buttiamoci. Facciamo una prova’”, racconta Ali Hajimiri, che insegna ingegneria elettrica al Caltech. “All’inizio pensavamo che non avremmo captato nessun segnale. Poi ha cominciato ad arrivare ed è diventato sempre più forte”.

Il Sole visto dal telescopio spaziale Soho (Nasa/Afp/Getty)

La squadra era euforica. Per la prima volta una quantità rilevabile di energia solare era stata trasmessa senza fili dallo spazio alla Terra. Non bastava nemmeno ad accendere una lampadina, ma poco male. Per i sostenitori dell’energia solare spaziale era la prova che era tecnicamente possibile rifornire direttamente dallo spazio un pianeta affamato di energia.

“Il Sole è la cosa più vicina che abbiamo a una fonte infinita di energia”, osserva Paul Jaffe, ingegnere elettronico dello Us naval research laboratory che studia l’energia solare spaziale da 16 anni. “Si potrebbe creare una rete capace di fornire energia potenzialmente in ogni luogo della Terra. Il solare spaziale può diventare per l’energia quello che il gps è stato per la navigazione”.

Il primo a immaginare la possibilità dell’energia solare spaziale è stato lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov in un racconto del 1941 intitolato Essere razionale. In pratica, però, l’idea è stata sempre liquidata come troppo costosa e tecnologicamente complessa per essere praticabile.

Ma ora che la percezione della minaccia del cambiamento climatico si fa più pressante e lo sfruttamento economico dello spazio si evolve, i governi di tutto il mondo ne stanno rivalutando il potenziale. In Cina, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone e in Europa i ricercatori stanno studiando la sua fattibilità, con la prospettiva di avviare delle sperimentazioni nello spazio prima della fine del decennio.

Il programma cinese ZhuRi (caccia al Sole) prevede di mettere in orbita entro il 2035 una centrale energetica pilota capace di generare venti megawatt di potenza. Nel Regno Unito un gruppo di imprenditori legati alla startup Space solar, finanziata dallo stato, ha ambizioni ancora più grandi. L’obiettivo è costruire entro la stessa data una centrale da almeno un gigawatt, per poi realizzarne una flotta capace di fornire trenta gigawatt entro la fine degli anni quaranta. Gli esperimenti del Caltech sono stati finanziati dal filantropo miliardario Donald Bren invece che dal governo, ma nel 2025 il laboratorio di ricerca dell’aviazione militare statunitense prevede di lanciare un progetto pilota di irradiazione di energia dall’orbita terrestre bassa.

Ventiquattr’ore al giorno

Molti sostenitori dell’energia solare spaziale (space-based solar power, Sbsp) sono convinti che questa tecnologia abbia potenzialità maggiori rispetto alla fusione nucleare per aiutare il mondo ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica.

“Tutta la fisica dell’energia solare spaziale è stata dimostrata, testata e verificata”, dice John Mankins, ex fisico della Nasa che grazie ai suoi venticinque anni di esperienza nel campo si è guadagnato il soprannome di “padrino dell’energia solare spaziale”. Anche se nel 2022 gli scienziati statunitensi hanno detto di aver ricavato un guadagno energetico netto da una reazione di fusione nucleare, il processo “è ancora lontano dal dimostrare che il sistema sia in grado di produrre più energia di quella che consuma”, osserva. Con sufficienti investimenti, aggiunge Sanjay Vijendran, capo del progetto Solaris dell’Agenzia spaziale europea, “l’energia solare spaziale potrebbe essere disponibile prima della fusione nucleare”.

Per raccogliere l’energia del Sole si installano dei pannelli solari su un satellite che orbita a migliaia di chilometri dalla Terra ed è costantemente esposto ai raggi solari. L’energia è quindi convertita in microonde, che vengono irradiate nell’atmosfera verso un’antenna di ricezione, dove sono riconvertite in elettricità da immettere nella rete.

Un singolo satellite potrebbe produrre fino a due gigawatt di energia a zero emissioni, sufficiente a coprire il fabbisogno di una città di due milioni di persone per 24 ore al giorno, sette giorni su sette.

L’azienda spaziale franco-italiana Thales Alenia Space sta studiando i risparmi in termini di emissioni che sarebbe possibile ottenere grazie all’energia solare spaziale. Considerando un ciclo di vita medio di venticinque o trent’anni per centrale, si potrebbero risparmiare “centinaia di milioni di tonnellate” di anidride carbonica, dice il viceamministratore delegato Massimo Comparini.

Non è la prima volta che gli stati guardano al cielo per risolvere i problemi energetici della Terra. Nel 1976, dopo l’aumento dei prezzi dovuto alla crisi petrolifera, il dipartimento dell’energia degli Stati Uniti commissionò uno studio quadriennale sull’energia solare spaziale. La conclusione, confermata da successivi studi, fu che il progetto avrebbe avuto costi proibitivi.

Negli ultimi dieci anni, tuttavia, le cose sono profondamente cambiate, sostiene Mankins. Grazie al razzo riutilizzabile Falcon della SpaceX, “c’è stata una riduzione dal 90 al 95 per cento dei costi di lancio”. L’introduzione della colossale Starship, sempre della SpaceX, che potrebbe mettere in orbita carichi da più di cento tonnellate, promette di abbatterli ulteriormente.

Molti sono convinti che questa tecnologia abbia potenzialità maggiori della fusione nucleare per azzerare le emissioni nette di anidride carbonica

L’adozione di processi industriali per i satelliti – che prima erano realizzati uno per uno in “gigantesche sale operatorie” sterili – ha contribuito a ridurre i costi di produzione in misura simile, aggiunge. “Sono pezzi essenziali del puzzle che ci aiuta a capire perché oggi l’energia solare spaziale può andare avanti”, dice Mankins. “Appena dieci anni fa quest’idea era ancora irrealizzabile”.

Nel 2020 il governo britannico ha commissionato uno studio sulla fattibilità economica e tecnologica dell’energia solare spaziale. Lo studio ha concluso che il costo totale di sviluppo e realizzazione della prima centrale spaziale da due gigawatt ammonterebbe a circa 16 miliardi di sterline (18,4 miliardi di euro) – molto meno dei 33 miliardi stimati per la nuova centrale nucleare di Hinkley Point, da 3,2 gigawatt. Le successive centrali satellitari costerebbero meno di quattro miliardi di sterline ciascuna, calcola lo studio.

L’azienda britannica Space solar stima che l’energia prodotta da una centrale solare satellitare dovrebbe avere un prezzo di appena 34 dollari per megawattora entro il 2040 per ripagare i costi durante il suo ciclo di vita, a fronte dei 43 dollari di una grande centrale solare terrestre, dei 53 di un parco eolico offshore e dei 125 di una centrale nucleare. “Gli aspetti economici sono molto favorevoli”, dice l’amministratore delegato della Space solar Martin Soltau.

Sfide formidabili

Molti però restano convinti che l’energia solare spaziale sia ancora fantascienza. Il fondatore della SpaceX Elon Musk l’ha definita “l’idea più stupida di tutti i tempi”. La sua tesi è che le enormi perdite di energia durante la conversione da luce a elettricità rendono l’energia solare spaziale molto meno efficiente e competitiva rispetto alle centrali solari sulla Terra.

Harry Atwater, uno dei tre professori del Caltech a capo dello Space solar power project dell’ateneo, non è d’accordo: “Convertire la luce del Sole in elettricità nello spazio avrebbe un’efficienza compresa tra il 5 e il 12 per cento”, quindi ci sarebbe una perdita di energia fino al 95 per cento. Ma la quantità di luce solare nello spazio in un arco temporale di 24 ore “è otto volte superiore a quella che c’è sulla Terra. Sarebbe più o meno come avere celle solari con un’efficienza del 40 per cento sulla Terra, ma non esiste niente di simile. Oggi si punta ad arrivare al massimo al 30 per cento”.

Il secondo grande vantaggio dell’energia solare spaziale è che un fascio di microonde può essere inviato verso più di una destinazione, ovunque ci sia un’antenna ricevente adeguata. “Dallo spazio possiamo raggiungere un sacco di posti”, dice Hajimiri del Caltech. Questa flessibilità potrebbe aprire un nuovo mercato globale dell’energia a zero emissioni.

Una struttura del progetto Zhuri a Xi’an, in Cina, giugno 2022 (Xinhua News Agency/Eyevine/Contrasto)

L’energia solare proveniente dallo spazio, inoltre, è costantemente a disposizione, mentre l’eolico e il solare terrestre non possono produrre energia quando non c’è vento o sole. Queste fonti hanno bisogno di sistemi di stoccaggio per fornire energia nei tempi morti e di capacità extra per ricostituire le scorte e soddisfare la domanda degli utenti quando le condizioni lo permettono. Tutto questo fa lievitare i costi. “Paghi l’energia due volte”, dice Soltau. “Paghi per la produzione, ma paghi anche per lo stoccaggio”.

Se i sostenitori dell’energia solare spaziale sono convinti che questa tecnologia sia sul punto di dimostrare la sua utilità, ci sono ancora ostacoli significativi per realizzare la visione di Asimov.

Le dimensioni del progetto sono un grande problema, sia nello spazio sia sulla Terra. Ogni satellite dovrebbe essere enorme – almeno 1,5 chilometri di ampiezza – per poter irradiare con precisione l’energia verso una certa località. L’antenna di ricezione, formata da migliaia di piccoli ricevitori, dovrebbe essere ancora più grande – probabilmente con un diametro di diversi chilometri – per captare le microonde che arrivano sulla Terra.

I sistemi spaziali userebbero componenti modulari per semplificare la costruzione e contenere i costi. Ma dovrebbero essere assemblati da robot autonomi. Il modello del Caltech è un’eccezione, perché si basa su centinaia di pannelli indipendenti che orbitano in formazione, come “un volo di storni”, dice Atwater. Strutture di queste dimensioni non sono mai state costruite o lanciate nello spazio. La Stazione spaziale internazionale è l’oggetto più grande che sia mai stato messo in orbita, ed è lungo poco più di cento metri. Costruire l’antenna di ricezione non sarebbe difficile come costruire il satellite, ma lo spazio che occuperebbe solleverebbe inevitabilmente delle obiezioni. E sicuramente ci sarebbero timori per la salute e l’ambiente.

Secondo gli esperti di energia solare spaziale questi timori possono essere superati. La trasmissione dell’energia, dicono, avverrà in modo sicuro con un’elevata lunghezza d’onda e una bassa frequenza. “La lunghezza d’onda è di circa dodici centimetri”, dice Mankins. “Non è in grado di rompere il legame tra gli atomi che compongono il dna e quindi non può essere cancerogena”. Anche nell’area di maggior concentrazione dell’antenna, l’intensità delle microonde sarebbe “circa un quarto di quella del Sole in estate”, aggiunge.

Le ricerche della Nasa sugli uccelli mostrano che ci sono pochi rischi per le specie animali, dice Soltau. Ma tutti questi studi dovranno essere aggiornati per convincere l’opinione pubblica. “Sappiamo benissimo che sarà molto difficile convincere le persone ad accettare questa roba vicino a casa loro, come lo è stato per le centrali nucleari ed eoliche”, dice Vijendran dell’Esa. “Forse questa è la sfida più grande di tutte”. Alcuni progetti propongono di piazzare le antenne di ricezione vicino ai parchi eolici offshore, che dispongono già di collegamenti alla rete elettrica, per alleviare i timori dell’opinione pubblica.

Mettere in orbita questi enormi generatori di energia solleva anche questioni sulla vulnerabilità. “Se un conflitto su grande scala dovesse estendersi allo spazio vorremmo davvero avere la nostra rete energetica direttamente in una zona di guerra?”, chiede Bleddyn Bowen, professore associato di relazioni internazionali dell’università di Leicester, nel Regno Unito. “Ci sono enormi problemi politici e di sicurezza di cui nessuno parla”.

Secondo Peter Garretson, ex responsabile per le nuove tecnologie dell’aviazione militare statunitense, questo non è un motivo per abbandonare l’energia solare spaziale. “Ditemi una fonte di energia che non sia vulnerabile”, dice. “Il petrolio è sempre alla mercé dei flussi del commercio internazionale. Il gas è alla mercé delle potenze che lo controllano e della lunghezza dei gasdotti o del trasporto marittimo. Non esistono sistemi inattaccabili”.

Da sapere
Il Sole sulla Luna

◆ L’energia solare spaziale potrebbe essere utile anche sulla Luna. Il programma Artemis, che punta a installare una base lunare permanente dopo il 2030, dovrebbe inizialmente usare dei piccoli reattori nucleari per la produzione di energia, ma la Nasa ha incaricato l’azienda Blue Origin di studiare un sistema per costruire pannelli solari direttamente sulla Luna, usando il silicio e gli altri minerali presenti sul satellite. Uno studio realizzato dall’azienda Astrostrom per l’Agenzia spaziale europea (Esa) ipotizza invece una centrale orbitante costruita con materiali lunari, capace di inviare sulla superficie della Luna 23 megawatt di energia. Il progetto sarebbe realizzabile con le tecnologie attuali.


Garretson liquida anche l’idea che una centrale solare satellitare possa essere usata come arma. “Il massimo che può fare è generare circa un quinto dell’intensità della luce solare, a malapena sufficiente per scaldare una tavoletta di cioccolato”, dice.

Ci sarebbero però implicazioni militari. “Essere capaci di costruire una centrale solare satellitare significa essere capaci di creare una forza militare spaziale di vari ordini di grandezza superiore a qualsiasi cosa esista oggi”, dice. Date le preoccupazioni sulla sicurezza e la gestione, “è improbabile che l’energia solare possa essere di proprietà esclusiva e sotto il controllo di un’unica nazione”, dice.

Altri sottolineano il problema sempre più urgente del traffico in orbita. Lo spazio è grande, ma mettere flotte di enormi satelliti nell’orbita geostazionaria a 36mila chilometri dalla Terra comporterebbe nuovi rischi, per esempio quello di collisioni a catena che renderebbero inutilizzabili alcune orbite.

Inoltre, non è chiaro come queste grandi centrali solari sarebbero regolamentate e se resterebbe posto in orbita per i paesi che attualmente non sono in grado di imbarcarsi in un’impresa così complessa e costosa. “La regola sarà chi prima arriva meglio alloggia?”, chiede Bowen. “C’è un problema concreto di equità”.

Le aziende stanno a guardare

Al momento l’energia solare spaziale resta appannaggio esclusivo dei ricercatori. Con il crescere delle pressioni per la difesa dell’ambiente, però, alcuni investitori stanno cominciando a prendere più sul serio questa nuova tecnologia.

Il governo britannico e l’Arabia Saudita sono in trattative per investire nell’energia solare spaziale attraverso una collaborazione con la Space solar, che sta raccogliendo fondi.

Senza un coinvolgimento delle aziende che producono e distribuiscono l’energia agli utenti, tuttavia, il solare spaziale rimarrà una chimera. “Deve essere portato avanti come un progetto energetico con un forte elemento spaziale”, dice Vijendran. “Stiamo provando a fare in modo che l’industria dell’energia lo prenda in mano il prima possibile”.

Non a caso, lo studio dell’Agenzia spaziale europea (Esa) vede la partecipazione di aziende come l’italiana Enel e la francese Engie. Nel Regno Unito, la Edf sta studiando il potenziale della tecnologia per conto dell’agenzia dell’innovazione del paese. In generale, però, le aziende energetiche sono ancora in modalità “aspettiamo e vediamo”.

Come per le rinnovabili, anche un sistema di energia solare spaziale ha dei costi occulti. I ricercatori dell’Edf ritengono che “il clima spaziale” – fattori come eruzioni solari, tempeste elettromagnetiche e radiazioni – possa accelerare il deterioramento dei satelliti. Questo aggiungerebbe un costo compreso tra le due e le sette sterline per megawattora. “Calcoliamo una perdita di produttività di circa il 20 per cento nel ciclo di vita del sistema dovuta al clima spaziale”, dice Ben Cayless, ingegnere dell’Edf.

Nonostante questo, la Edf, come l’Enel e l’Engie, non ha intenzione di ignorare il potenziale di una nuova fonte di energia pulita. “La nostra strategia non cambierà a breve termine”, dice Cayless. “Ma la maggior parte delle aziende è come noi. Ci teniamo aperte tutte le opzioni”. ◆ fas

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Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati