Dopo aver passato l’infanzia a Sarajevo nel pieno della guerra in Bosnia Erzegovina, oggi Jasminko Halilović si occupa delle giovani vittime dei conflitti armati, come quello che colpì la città dov’è nato, o quelli in Ucraina, a Gaza e in Siria. I volontari della Croce rossa e di altre organizzazioni umanitarie impiegano il loro tempo a ospitare, nutrire e curare i bambini, mentre Halilović veglia con delicatezza sui loro ricordi.

Aveva quattro anni quando nel 1992 cominciò l’assedio della capitale bosniaca, e ne aveva otto quando si concluse. Il suo ricordo peggiore di quel periodo è il momento in cui scoprì in tv che Mirela, la sua “fidanzata segreta” di dieci anni, era stata uccisa in una strada della città, come altri 643 bambini (in totale le vittime dell’assedio furono più di undicimila). Dopo la guerra Halilović cercò di tirare avanti, un po’ come facevano tutti. È un imprenditore e lavora da quando aveva 16 anni nel marketing, nel turismo e nella ristorazione. A 26 anni, con un po’ di soldi in tasca, si chiese cosa voleva “fare della sua vita”.

Anche se la guerra si allontanava nel tempo, tornava sempre nei ricordi. “Le conversazioni sulla nostra infanzia cominciavano la sera tardi”, racconta. A parte rare eccezioni, come Diario di Zlata di Zlata Filipović (Rizzoli 2013), non esistevano testimonianze sulla guerra vista dai bambini. Così Halilović lanciò un appello sui social network, chiedendo: “Cos’è stata per voi l’infanzia durante la guerra?”. Arrivarono molte risposte e il progetto si è trasformato in un libro, War childhood, pubblicato in bosniaco nel 2013 e poi tradotto in varie lingue.

Le testimonianze dei bambini di solito non riguardano i fatti storici. Anche se i loro ricordi sono affidabili quanto quelli degli adulti, di solito non hanno consapevolezza del contesto e magari non forniscono informazioni del tutto precise. Ma le loro testimonianze sono cariche di verità, crude, schiette e non influenzate dall’ideologia.

Quelle raccolte in War childhood, di solito non più lunghe di una frase, sono tanto semplici quanto disarmanti. “Della guerra ricordo che giocavo con i bossoli invece che con i giocattoli” (Zana). “Mentre mi caricavano sull’ambulanza ho chiesto a mio padre: ‘Sarai arrabbiato con me quando mi riporteranno a casa?’” (Alen). “Mi ricordo il cielo rosso mentre cercavo di vedere le stelle dalla finestra” (Minela). “Immaginavo una porta segreta che portava a una stanza a prova di proiettile, con elettricità, acqua e perfino un frigorifero sempre pieno!” (Bruna). “Comprare la più dolce delle creature, un cagnolino, in cambio di cinque pacchetti di sigarette Drina” (Lejla). “Un lampo, uno scoppio e Sanjin, Belma, Senad, Almir, Nihada, Velida, Sinanudin. La fine dei giochi di bambini, per sempre” (Elma).

Halilović in seguito ha chiesto ai testimoni di affidargli un oggetto della loro infanzia. Così ha allestito una mostra, e poi un museo, il War childhood museum (Wcm), aperto a Sarajevo nel 2017. Lui stesso ha messo nella collezione due oggetti: un pupazzo di Alf l’extraterrestre e la foto di una tovaglietta su cui l’artista Davor Rehar, amico di famiglia, aveva dipinto il suo ritratto. In poco tempo il Wcm è diventato uno dei musei di guerra più visitati della città, con circa 25mila ingressi all’anno. Tra le sale più frequentate c’era quella dedicata al massacro di Srebrenica.

Oggetti preziosi

Halilović ha dato un nuovo senso alla sua vita sviluppando rapidamente quella che definisce una “visione internazionale”. Il suo talento imprenditoriale gli è tornato utile, nonostante i pochi mezzi economici a disposizione. Ha aperto un ufficio all’Aja, nei Paesi Bassi per raccogliere fondi dell’Unione europea e un giorno sogna d’inaugurare l’International war child­hood museum su tutti i conflitti mondiali. Oggi raccoglie storie dei bambini siriani e ucraini, ma anche di quelli di Gaza. Spesso riceve oggetti appartenuti a persone che hanno vissuto l’infanzia durante la seconda guerra mondiale. La collezione del museo conta circa seimila pezzi.

Aisha, una bambina di Gaza, gli ha affidato un disegno intitolato “Il mio percorso artistico”. “Per distrarmi da quello che succedeva fuori da casa nostra, mia madre mi ha regalato i pennarelli e mi ha incoraggiato a disegnare. All’inizio erano solo scene di guerra e tutte le cose orribili di cui eravamo testimoni. Poi ho cominciato a disegnare cose belle, come i fiori e i bambini che giocavano nel parco. Mi ha aiutato a dimenticare la paura”.

Israa ha donato un piatto di terracotta. “Ce l’aveva portato mio padre. Mia madre lo usava per preparare tanti piatti gustosi. Per esempio cucinava il tajine di gamberi, che aveva un sapore completamente diverso quando veniva cotto in questo piatto. Anziché parlare della guerra preferisco pensare ai bei ricordi, e questo oggetto ne custodisce molti”.

In Ucraina il War childhood museum ha cominciato a operare nel 2018, raccogliendo le storie dei bambini profughi del Donbass, sia quelli rimasti nel paese sia quelli fuggiti all’estero. “Per un ragazzo bosniaco l’Ucraina già in quegli anni era qualcosa di molto vicino”, racconta Halilović, che va spesso a Kiev, dove si sente a casa. Oltre alla guerra, che ha colpito la Bosnia e l’Ucraina a trent’anni di distanza, i due paesi hanno un altro punto in comune. “Siamo alle frontiere dell’Europa. Ci sentiamo europei ma al tempo stesso non siamo sicuri che Bruxelles ci voglia”. In cinque anni sono state raccolte 260 testimonianze, di cui cento dopo l’invasione russa del febbraio 2022.

Un’esposizione che raccoglie alcuni oggetti affidati al Wcm dai bambini ucraini è stata organizzata nel 2023 all’Istituto polacco di Kiev, mentre altri reperti sono in mostra al museo di Sarajevo. “I bambini dicono le cose di cui gli adulti non vogliono parlare. È importante per loro scoprire che le loro storie possono interessare la società”, sottolinea Svitlana Osipchuk, direttrice dell’ufficio ucraino del museo. “Non ci sono solo le storie dolorose, ma anche quelle positive”.

Uno dei disegni s’intitola “Un compagno per il cigno”. “Era estate. C’erano molte esplosioni ma volevo andare a nuotare. Sull’acqua ho visto un cigno. Abbiamo chiesto al guardiano dove fosse il secondo, perché sapevo che i cigni non vivono da soli. Se lo fanno, muoiono. Il guardiano ci ha detto che gli avevano sparato. Abbiamo cercato di dare da mangiare a quello sopravvissuto, ma non voleva. Ho deciso di disegnare un compagno per il cigno, un cigno sull’acqua” (Kostiantyn, Avdiïvka, nella regione di Donetsk).

Un bambino ha dato al museo il suo berretto blu con la S rossa di Superman. “È un segno di speranza. Superman è un supereroe. Tutti quelli che aiutano l’Ucraina sono supereroi. Quest’anno, mentre la guerra prosegue, io sono in Polonia. Per il compleanno ho chiesto di ricevere soldi. Duemila grivnie (50 euro) sono state donate alle forze armate” (Nazar, Kiev).

Nel testo “Il mio talismano”, una ragazza ricorda un regalo. “Mia nonna mi aveva dato questa statuina dicendomi: ‘Spero che ti protegga, che ti porti amore e bontà, e che resti sempre con te’. Quando siamo partiti l’avevamo dimenticata, ma poi l’abbiamo ritrovata quando siamo tornati nella nostra casa bombardata. L’ho portata con me. Mi proteggerà” (Vlada, Popasna, nella regione di Luhansk).

Una ragazza ha donato un libro: “Mia madre mi leggeva questa storia. Lei e mio fratello sono stati uccisi” (Yevhenia, Avdïivka, nella regione di Donetsk).

Prima di un museo internazionale, Jasminko Halilović e i suoi collaboratori sperano di aprire un War childhood museum a Kiev sul modello di quello di Sarajevo. “Vogliamo presentare i bambini non solo come vittime, e dare loro una voce”, osserva Svitlana Osipchuk. “In Ucraina sarebbe una novità”. ◆ as

Biografia

1988 Nasce a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina.
1992 I nazionalisti serbi cominciano l’assedio di Sarajevo, considerato il più lungo della storia moderna.
2013 Pubblica il libro War childhood, che raccoglie testimonianze di bambini di tutto il mondo cresciuti durante la guerra.
2017 Fonda il War childhood museum a Sarajevo.
2o23 Organizza una mostra curata dal museo a Kiev, in Ucraina.


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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati