Da una stazione di servizio abbandonata su una collina nel villaggio di Preobraženka, nel sudest dell’Ucraina, si sentono gli spari dell’artiglieria mentre pennacchi di fumo si alzano in lontananza. C’è un via vai di veicoli per lo sminamento, carri armati e suv pieni di soldati. Dieci chilometri a sud, sul fronte meridionale di Zaporižžia, l’esercito ucraino ha aperto un varco nella difese costruite dalla Russia sulla linea del fronte, lunga mille chilometri. Speravo di capire se la controffensiva ucraina, cominciata all’inizio di giugno, era un fallimento, un successo o semplicemente procedeva più lenta del previsto. Ma la vista era oscurata da alcuni cigni neri che volavano elegantemente in stormi a forma di v.

“È la stagione del cigno nero”, mi spiega Pavlo Kazarin, giornalista e scrittore della Crimea. Si è arruolato nell’esercito ucraino subito dopo l’invasione russa. L’ho sentito parlare per la prima volta a luglio, a Dnipro, durante un forum sulla stabilità e la sicurezza ucraine organizzato dall’Aspen institute di Kiev e dall’Impact hub di Odessa. Tra gli ucraini che incontro è il primo, ma non l’ultimo, a parlarmi di cigni neri. L’espressione viene dal libro Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, pubblicato nel 2007 da Nassim Nicholas Taleb, statistico ed esperto di matematica finanziaria. La teoria di Taleb sostiene che la storia è influenzata in modo sproporzionato da eventi imprevedibili, e non c’è da sorprendersi che in Ucraina sia diventata piuttosto popolare.

Tymofiy Mylovanov, presidente della Kiev school of economics, mi racconta che gli snodi più importanti nella storia moderna del suo paese “sono stati tutti determinati da eventi a probabilità zero e di impatto elevato”. Per esempio l’esplosione del 1986 nella centrale nucleare di Černobyl, che contribuì a uno dei più grandi cigni neri della storia recente: la dissoluzione dell’Unione Sovietica, e quindi l’indipendenza ucraina, nel 1991. Le rivoluzioni ucraine del 2004 e del 2014, l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014 e l’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 erano tutti eventi ugualmente imprevisti. Questo vuol dire che gli ucraini devono essere preparati a qualsiasi evenienza, comprese le ripercussioni di fatti su cui non hanno nessun controllo.

Il 25 luglio, in un caffè a Lyman, a dodici chilometri dal fronte nell’Ucraina orientale, un soldato che si faceva chiamare Fox mi ha confessato che, se due anni fa qualcuno avesse detto che Kiev sarebbe finita sotto le bombe russe, “si sarebbero tutti messi a ridere”. In quel momento ci è passato davanti un lanciarazzi Grad. Fox, che combatteva dal 2014, ha detto di aver imparato “a non avere troppe speranze e a non fare affidamento su previsioni e aspettative”. Dopo che a giugno i russi hanno distrutto la diga di Nova Kachovka, gli ucraini potevano immaginare che Mosca li bombardasse o “che magari facesse esplodere la centrale nucleare di Zaporižžia”. Settimane dopo, invece, il paese è stato scosso da un evento che si può considerare un cigno nero: l’ammutinamento di Evgenij Prigožin, il leader della milizia mercenaria Wagner. “Questo mi ha insegnato a essere pronto a tutto”, ha detto Fox, “e ad adattarmi ai cambiamenti il più velocemente possibile”. Due missili diretti verso le postazioni russe ci sono sfrecciati sopra. Era ora di lasciare Lyman.

Grandi speranze

Tre mesi dopo l’inizio della controffensiva ucraina, centri studi, esperti, militari in pensione e funzionari di ogni rango sfornano in continuazione opinioni diverse su come sta andando: alcuni sostengono che il piano sta fallendo, altri che procede più che bene. Gli ottimisti fanno notare che lontano dal fronte, e dalla vista dei giornalisti occidentali, i depositi russi di logistica e di armi vengono sistematicamente distrutti. Ma raramente questi osservatori riconoscono che le loro previsioni possono facilmente essere disattese. Molti di loro pensavano che Putin non avrebbe mai attaccato l’Ucraina, e quando è successo hanno detto che Kiev sarebbe caduta in pochi giorni.

“Tendiamo a fare affidamento sulla nostra forza d’inerzia storica”, afferma Mylovanov. “Si potrebbe pensare, per esempio, che ormai tutti gli ucraini abbiano lasciato il paese, ma in realtà un buon 86 per cento della popolazione è ancora qui. La gente vive a Odessa, a Charkiv… Mi chiedo cos’altro non capiscono le persone che non sono direttamente sulla linea di tiro”.

Kazarin mi racconta che molti dei suoi compagni credono che gli alleati dell’Ucraina esitino ancora a fornire le armi di cui il paese ha bisogno perché temono un’escalation e la guerra nucleare. Tuttavia, sottolinea, la Crimea e altre quattro province ucraine parzialmente occupate dai russi sono già state annesse da Mosca e secondo la costituzione russa ogni missile o carro armato occidentale dispiegato in quelle zone costituisce di fatto un attacco alla Russia. “Se i paesi occidentali ritengono che l’Ucraina si stia solo difendendo, allora il loro aiuto è semplice carità”, dice. Ma se l’Ucraina sta effettivamente combattendo per proteggere i paesi della Nato, come le repubbliche baltiche e la Polonia, questo l’autorizza a chiedere tutto l’aiuto di cui ha bisogno. Perché”, continua Kazarin, “o siamo noi a combattere con le armi della Nato sul nostro territorio o dovrà essere la Nato a combattere con le sue armi sul suo territorio”. Kazarin è convinto che la Russia non rischierebbe mai uno scontro con la Nato, ma poi aggiunge che la situazione potrebbe cambiare, perché “l’appetito imperialista di Mosca continua a crescere”.

C’è però un’alternativa alla guerra totale con la Russia. Cosa succederebbe nel caso di un congelamento del fronte? L’Ucraina era una democrazia vivace prima dell’invasione, ma la sua normale vita politica si è interrotta nel febbraio 2022. Come spiega Kazarin, la guerra è stata “una specie di anestetico”. Fin dall’inizio la società ucraina “si è compattata intorno a due concetti: la vittoria e il sostegno all’esercito”. Oggi qualcosa sta cambiando. Questo non vuol dire, però, che le cose stiano tornando alla normalità: le elezioni, per esempio, non ci potranno essere finché sarà in vigore la legge marziale. Negli ultimi mesi ci sono stati diversi dibattiti pubblici sul futuro del paese dopo la guerra. Come ho capito al convegno di Dnipro, gestire le aspettative è fondamentale.

Oggi gli ucraini sono consapevoli che la guerra non finirà presto

Quando chiedevo alle persone che incontravo che futuro si aspettassero dopo la guerra, il più delle volte la loro risposta cominciava così: “Dopo la nostra vittoria…”. Nessuno dubitava della vittoria. Tuttavia negli ultimi mesi il significato attribuito a questa parola è cambiato. Nei primi giorni e nelle prime settimane dell’invasione, vittoria voleva dire ricacciare i russi fuori da tutti i territori che avevano appena invaso. Ma dopo gli inattesi successi ucraini a Kiev, Charkiv e Cherson le aspettative sono aumentate. Se erano riusciti a respingere i russi in quelle zone, gli ucraini avrebbero potuto farlo ovunque. Oggi le persone con cui parlo non hanno dubbi: vittoria significa riportare la sovranità ucraina ai confini riconosciuti a livello internazionale nel 1991, che includono la Crimea e le aree delle province di Donetsk e Luhansk occupate dai russi nel 2014. Un cigno nero potrebbe portare a questo tipo di vittoria, ma è altrettanto possibile che non succeda.

Quando è cominciata la controffensiva, i commentatori e i funzionari ucraini, come il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov, hanno fatto credere alla popolazione che l’esercito russo sarebbe crollato rapidamente e che la Crimea sarebbe stata riconquistata. Nei giorni del primo anniversario dell’invasione, Maria Avdeeva, un’esperta di sicurezza e comunicazione di Charkiv, mi ha detto che gli ucraini “non vedevano l’ora che arrivasse l’estate” perché pensavano che la guerra sarebbe finita prima. Alcuni immaginavano perfino di andare in vacanza in Crimea. Alla fine le aspettative sono state ridimensionate. E oggi, spiega Avdeeva, “la gente è consapevole che la guerra non finirà presto”.

Se la Russia riuscirà a mantenere la maggior parte dei territori occupati, l’Ucraina potrebbe subire pressioni dagli alleati per negoziare una tregua. Alcuni citano come modello per un accordo russo-ucraino l’armistizio che nel 1953 mise fine alla guerra di Corea, che chiedeva “una completa cessazione delle ostilità e di tutte le attività militari fino al raggiungimento di una soluzione pacifica definitiva”. Una simile soluzione sarebbe molto impopolare tra la maggior parte degli ucraini, a meno che non arrivino a pensare che i loro soldati stanno morendo per niente.

In un ospedale di Kiev, Ucraina, 10 luglio 2023 (Libkos, Ap/Lapresse)

La fine dei combattimenti lungo l’attuale linea del fronte probabilmente consentirebbe alla Russia di consolidare la sua presenza nei territori occupati, di cambiarne il tessuto demografico, importando centinaia di migliaia di coloni dalla Russia (come è stato fatto in Crimea), e di plasmare le menti dei giovani attraverso la scuola.

La politica del risentimento

Ella Libanova, una delle principali demografe ucraine, è categorica: senza l’adesione dell’Ucraina alla Nato, qualsiasi tregua darebbe la possibilità alla Russia di tornare a finire il lavoro tra qualche anno. Un’Ucraina vulnerabile continuerebbe a perdere popolazione a causa dell’emigrazione e la sua economia non sarebbe in grado di sostenere un esercito abbastanza forte da respingere nuovamente i russi. A suo avviso, solo un ritorno ai confini del 1991 può dare al paese la sicurezza di cui ha bisogno. Altri non sono così apocalittici. Tuttavia c’è chi prevede una pericolosa svolta nella politica ucraina nel caso in cui le speranze di vittoria più ambiziose siano infrante. In passato la principale linea di frattura nella politica ucraina divideva i partiti filoccidentali da quelli filorussi, ma questa spaccatura è stata superata con l’invasione decisa da Mosca, che ha cancellato la legittimità dei secondi. La nuova linea di faglia potrebbe correre tra i partiti europeisti e quelli populisti-nazionalisti, che alimentano, come dice Kazarin, “la politica del risentimento”. Yevhen Hlibovytsky, analista e fondatore del centro ucraino pro.mova, fa un ulteriore passo avanti, parlando esplicitamente di “orbanismo”. In altre parole, l’Ucraina potrebbe seguire le orme del leader autocratico e nazionalista ungherese Viktor Orbán, ovviamente senza replicarne l’atteggiamento di apertura verso il Cremlino.

Orbán ha a lungo puntato sulla politica del risentimento, incolpando gli stranieri dei mali del suo paese e insistendo sul Trattato del Trianon, che nel 1920 privò l’Ungheria di gran parte del suo territorio. Hlibovytsky teme che i populisti ucraini possano fare lo stesso: mettere in dubbio l’impegno dell’occidente a favore dell’Ucraina, sottolineando che è stato lento o insufficiente; lamentarsi per i profughi costretti a lasciare il paese, e poi protestare perché l’Ucraina deve accettare l’arrivo di immigrati per sostituirli. Se gli ucraini si convincessero di non essere stati aiutati a dovere da un occidente volubile e timoroso, questo – sostiene Hlibovytsky – potrebbe fatalmente indebolire il centro politico e giocare a favore delle forze allo stesso tempo “antirusse e antioccidentali, che a quel punto farebbero causa comune con quel che resta dei vecchi partiti russofili, con soggetti religiosi e ultraconservatori e con i populisti-nazionalisti”.

Filorussi o populisti

Oksana Forostyna, scrittrice e redattrice del sito Ukraina Moderna, aggiunge che i partiti filorussi in passato molto forti nel sudest del paese erano in fondo meno vicini a Mosca di quanto si creda. Era semplicemente una forma di populismo, in cui le strutture di partito alimentavano il clientelismo e si occupavano della spartizione dei posti di lavoro. Forostyna prevede che i politici populisti faranno perno su una “posizione filoucraina ma antioccidentale”, cavalcando, tra le altre cose, l’ostilità verso la comunità lgbt per alimentare i timori di un’invasione culturale dell’occidente, esattamente come è stato fatto in Russia, Ungheria e Polonia.

Mylovanov, invece, rifiuta l’idea che l’Ucraina approderà a questo tipo di nazionalismo se ogni centimetro quadrato del paese non sarà presto liberato: nel 2014 durante la rivoluzione di Maidan morirono centinaia di persone, la Russia annesse la Crimea e invase ampie zone delle regioni di Donetsk e Luhansk, “l’Occidente non fece niente” e l’Ucraina restò comunque una democrazia. Secondo lui nei prossimi anni gli ucraini dovranno impegnarsi a creare entusiasmo intorno alla prospettiva di entrare nell’Unione europea invece di costruire un futuro fondato sulla solidarietà antirussa. “Certo, siamo contro di loro perché ci stanno uccidendo”, ma l’Ucraina deve definire se stessa soprattutto come un paese che crede “nella democrazia, nella libertà e nello sviluppo”, afferma Mylovanov. “Noi non useremo mai i loro metodi”. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati