Il 23 agosto 2023 il Mali ha cercato di raccogliere 25 miliardi di franchi cfa (38 milioni di euro) sul mercato finanziario regionale, ma è riuscito a ottenere solo 9,5 miliardi. “Questo dimostra il disagio degli investitori all’interno e all’esterno del paese”, afferma l’economista maliano Modibo Mao Makalou.

Dopo il colpo di stato del 24 maggio 2021 Bamako fatica a onorare i suoi impegni e a far quadrare i conti. Quando, tra gennaio e luglio del 2022, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao/Ecowas) gli ha imposto pesanti sanzioni, il nuovo regime non ha rispettato dei pagamenti.

Dopo la revoca delle sanzioni, il Mali ha riacquistato una certa flessibilità, ma la situazione illustra le difficoltà che gli stati del Sahel devono affrontare dopo la lunga serie di golpe degli ultimi anni. Senza considerare che già prima dei cambi di regime Mali, Burkina Faso e Niger erano tra i paesi più poveri del mondo: il loro reddito pro capite era nettamente inferiore alla media dell’Africa subsahariana.

Secondo i dati della Banca mondiale, questa tendenza si è accentuata. In Burkina Faso la debole crescita nel 2022 e l’inflazione elevata (al 14,1 per cento) hanno spinto altre 1,5 milioni di persone in condizioni di povertà estrema. Un fenomeno simile si osserva in Mali, dove gli abitanti che vivono in condizioni di povertà estrema erano il 19,1 per cento nel 2022, contro il 15,9 per cento nel 2021. In Niger, prima del colpo di stato di luglio, la Banca mondiale prevedeva un calo della povertà. Ma ora l’organizzazione stima che il 44,1 per cento degli abitanti, cioè 700mila persone, viva nell’indigenza. Il paese, per cui si prevedeva una crescita a due cifre nel 2024 grazie soprattutto alla messa in funzione di un oleodotto verso il Benin, vede sfumare le prospettive di sviluppo, perché il futuro di quell’infrastruttura è incerto. Di conseguenza, le previsioni di crescita nigerine per il 2024 sono state riviste al ribasso: dal 12,8 per cento al 4 per cento.

Per quanto riguarda il Burkina Faso, il suo tasso di crescita è diminuito drasticamente, passando dal 6,9 per cento del 2021 al 4,4 per cento del 2023, con una proiezione del 4,8 per cento nel 2024, sempre secondo i dati della Banca mondiale. L’aumento di appena 0,4 punti del pil in un anno deriva sia dalla debolezza dell’economia locale sia dal contesto globale sfavorevole. “Il paese non va bene”, conferma un economista burkinabé, che chiede di restare anonimo. “L’inflazione è alta, la povertà e i livelli d’indebitamento crescono. Ma questo si deve anche a fattori esterni: la guerra in Ucraina, la pandemia di covid-19 e il rialzo dei tassi d’interesse. Quanto incide il colpo di stato? Difficile a dirsi”.

Altre priorità

Il Mali si distingue dai paesi vicini per la relativa tenuta della sua economia. Dopo una contrazione dell’1,2 per cento nel 2020, il pil è cresciuto del 3 per cento nel 2021 e poi del 3,7 per cento nel 2022, nonostante le sanzioni imposte dalla Cédéao e dall’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa). E dovrebbe crescere del 5 per cento nel 2023, secondo i dati di giugno del Fondo monetario internazionale (Fmi). Bamako ha beneficiato di una ripresa nella produzione di cotone e del boom dell’attività mineraria grazie alla scoperta del litio. L’Fmi, però, mantiene una certa prudenza a causa dei “rischi legati al deterioramento della situazione della sicurezza e dei possibili ritardi nello svolgimento delle elezioni”.

Nei bilanci si può osservare una riallocazione delle spese e un calo delle entrate. Nel 2022 il governo del Burkina Faso ha speso di più per la sicurezza, a scapito del welfare e degli investimenti. “È un serpente che si morde la coda, perché l’assenza dello stato e la carenza dei servizi alimentano l’insicurezza”, nota l’economista burkinabé. In ogni caso, a Ouagadougou, “l’amministrazione pubblica resiste, perché non è stata smantellata dai militari, a differenza di quanto accaduto in Mali”, sottolinea Matthieu Boussichas, ricercatore della Fondazione per gli studi e le ricerche sullo sviluppo internazionale, a Clermont-Ferrand, in Francia.

A Bamako il deficit di bilancio è salito al 5 per cento del pil. “Questo riflette il rapido aumento delle spese per la sicurezza, degli stipendi della pubblica amministrazione e degli interessi, che hanno ridotto le risorse utili alla crescita, in particolare quelle legate agli ammortizzatori sociali e agli investimenti di capitale”, osserva l’Fmi.

“Ci sono tante emergenze da affrontare, soprattutto in termini di sicurezza, che non sono stati fatti programmi o previsioni a medio e lungo termine. Non s’investe nelle infrastrutture”, lamenta l’economista Paul Derreumaux, che vive in Mali, osservando che “questa situazione va avanti da tempo”.

In un mare di debiti

Ma è soprattutto a Niamey che le conseguenze del colpo di stato sul bilancio pubblico sono più evidenti. Le entrate sono diminuite del 40 per cento da quando è stato destituito il presidente Mohamed Bazoum: nel 2023 il paese ha già perso l’equivalente di 1,17 miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo, che non saranno versati a causa della crisi politica. Il Niger non sta pagando e non è in grado di pagare i debiti contratti con i partner a causa delle sanzioni, e rischia la bancarotta.

Al di là delle difficoltà interne, le sanzioni imposte dalla Cédéao agli stati che hanno subìto un golpe limitano drasticamente l’accesso di quei paesi al mercato finanziario regionale. Carlos Lopes, docente di economia all’università di Città del Capo, sottolinea la portata di queste misure, definendole “molto più radicali di quelle imposte alla Russia”.

Secondo lui, è come se la banca centrale del Niger stesse chiudendo. “Così il paese non può resistere a lungo. Non può farlo da solo e gli unici due stati in grado di aiutarlo, il Mali e il Burkina Faso, non hanno sbocchi sul mare”. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati