L’uomo armato che il 25 ottobre ha ucciso 18 persone nella città statunitense di Lewiston, nel Maine, ha messo fine al suo bagno di sangue uccidendosi. Come su molte altre stragi, la sua furia sembra essere stata quella di un suicida che ha voluto portare altre persone con sé. Eventi come questo attirano l’attenzione dei mezzi d’informazione, com’è giusto che sia, ma rappresentano una percentuale molto piccola di tutte le morti provocate dalle armi da fuoco negli Stati Uniti.

Il modo più comune di morire con un colpo d’arma da fuoco nel 56 per cento dei casi è il suicidio. Dei 48.117 decessi per arma da fuoco registrati negli Stati Uniti nel 2022, 26.993 sono stati suicidi. Significa una morte per arma da fuoco ogni 11 minuti: come se una cittadina di medie dimensioni fosse spazzata via ogni anno. Questo vuol dire che l’accesso a un’arma da fuoco rappresenta un enorme fattore di rischio, spesso citato, ma analizzato di rado. L’industria delle armi sta spingendo la vendita dei suoi prodotti come il settore del tabacco faceva con le sigarette: con intenzioni spensieratamente omicide nei confronti dei clienti. E questo indebolisce le argomentazioni secondo cui le armi servono a proteggersi.

L’industria delle armi sta spingendo la vendita dei suoi prodotti come il settore del tabacco faceva con le sigarette: con intenzioni omicide nei confronti dei suoi clienti

Nel Maine dopo la strage, e nei due giorni in cui le persone hanno avuto paura che ci fosse un killer a piede libero, le vendite di pistole e fucili hanno registrato un’impennata. Il desiderio di protezione è comprensibile, ma le armi la offrono di rado. I casi in cui sono usate per proteggersi da un pericolo sono molto più rari di quanto suggeriscono i gruppi di pressione e le fantasie muscolari machiste alimentate da film e videogiochi. In realtà si usano raramente per autodifesa e, quando succede, sono poco efficaci. Perfino i poliziotti, che sono addestrati a usarle, nella maggior parte dei casi in situazioni di conflitto mancano l’obiettivo. La rivista The Trace, che fa notare come sedici milioni di americani in possesso di fucili d’assalto AR-15 dicano di averli per legittima difesa, è riuscita a trovare solo 51 casi verificati di proprietari di armi che le hanno effettivamente usate per questo motivo in un arco di più di dieci anni.

Gli uomini sono l’81 per cento dei proprietari di AR-15 e nel 74 per cento dei casi sono bianchi. È illogico che le persone acquistino delle armi per proteggersi, se questo in realtà aumenta la probabilità che le rivolgano contro di sé. Secondo il New England Journal of Medicine, “è provato che il rischio di suicidio è tre volte più alto se è possibile accedere a un’arma da fuoco”. Gli uomini bianchi, che costituiscono meno di un terzo della popolazione statunitense, rappresentano più di due terzi dei casi di suicidio con pistole e fucili, e questo succede in parte perché possiedono armi in proporzioni molto maggiori rispetto a qualsiasi altro gruppo demografico. Altrettanto rilevanti sono fattori come l’isolamento sociale e l’ideale maschile dell’autosufficienza. Occuparsi delle crisi latenti di disperazione e dell’isolamento è importante nel caso sia dei suicidi sia degli omicidi, anche nei casi di strage; e lo sarebbe anche rendere più difficile procurarsi un’arma da fuoco.

Se fosse la sinistra statunitense a spingere per la vendita delle armi, la destra forse parlerebbe di un complotto contro gli uomini bianchi. Ma è la destra ad aver costruito il culto delle armi, è la destra ad aver fatto pressioni per leggi più permissive, è la destra ad aver cercato di consentirne l’uso alle persone colpevoli di violenza domestica, persone con disturbi mentali e a minori di 21 anni. Proprio come il ragazzo che l’anno scorso ha ucciso 18 tra bambini e insegnanti in una scuola elementare a Uvalde, in Texas, con un fucile d’assalto AR-15 comprato il giorno dopo il suo diciottesimo compleanno.

La percentuale di uomini che possiedono armi e le rivolgono contro le loro compagne è alta: la metà di tutte le donne vittime di omicidio è uccisa dai partner, e nella maggioranza dei casi sono decessi provocati da armi da fuoco.

Ci sono tante altre persone che muoiono per lo stesso motivo. Il successo dell’industria delle armi nel vendere i suoi prodotti ha conseguenze ben note. Una ricerca della Johns Hopkins school of public health osserva: “Nel 2022 le armi hanno continuato a essere la principale causa di morte per bambini e adolescenti. Il tasso di decessi per armi da fuoco in questo gruppo è salito all’87 per cento nell’ultimo decennio (2013-2022)”. Nella stessa ricerca della Johns Hopkins si osserva: “Dal 2019 al 2021 il tasso di suicidi con armi da fuoco è aumentato del 10 per cento, mentre quello dei suicidi compiuti con altri mezzi è diminuito dell’8 per cento”.

Queste morti dovrebbero essere incluse nel dibattito nazionale sulle armi. Forse così sarebbe possibile ammettere che pistole e fucili in realtà non aumentano la nostra sicurezza, la diminuiscono. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati