09 dicembre 2014 13:35

La commissione sui servizi segreti del senato statunitense pubblicherà il 9 dicembre il rapporto della sua inchiesta sui centri di detenzione e il programma interrogatori della Cia dopo l’11 settembre 2001. Il documento dovrebbe mostrare l’inefficacia dei metodi dei servizi segreti e le false informazioni rilasciate dall’intelligence al governo.

L’inchiesta è cominciata nel 2009 e ha analizzato sei milioni di documenti tra intercettazioni, promemoria e altre registrazioni. Il rapporto totale è lungo seimila pagine ma ne sarà pubblicato un estratto di 480.

I metodi dei servizi segreti sono stati oggetto di critiche dopo la morte per ipotermia di un detenuto in una prigione segreta gestita dalla Cia in Afghanistan, nel 2002. Nello stesso anno la Cia aveva chiesto di includere tra i metodi d’interrogatorio gli schiaffi, la privazione del sonno, l’isolamento in luoghi ristretti, il waterboarding (il prigioniero viene incappucciato e gli viene versata dell’acqua sulla faccia, simulando l’affogamento) e le finte sepolture. L’autorizzazione non è mai stata concessa.

Nel 2006 il presidente George W. Bush ha ordinato la chiusura delle prigioni segrete all’estero e in seguito Barack Obama ha definito come tortura i metodi usati.

La commissione del senato ha avviato un’inchiesta informale nel 2007, dopo aver saputo che l’agenzia aveva distrutto le videocassette che mostravano gli interrogatori di detenuti in Thailandia con la tecnica del waterboarding. Due anni dopo comincia l’inchiesta ufficiale. Ma nel 2012 il ministro della giustizia Eric H. Holder Jr. ha annunciato che i funzionari della Cia non saranno incriminati.

Intanto il dipartimento di stato ha aumentato le misure di sicurezza presso le ambasciate e le basi militari degli Stati Uniti nel mondo, soprattutto in Medio Oriente e in Nordafrica, temendo azioni antistatunitensi: migliaia di marines all’estero sono stati messi in stato di allerta. The Washington Post

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it