08 giugno 2015 16:12
Profughi siriani in un centro di accoglienza a Milano, il 5 gennaio 2015. (Giuseppe Cacace, Afp/Getty Images)

Il presidente della Lombardia Roberto Maroni ha dichiarato che ridurrà i trasferimenti regionali ai sindaci che continueranno a ospitare nuovi immigrati. Giovanni Toti e Luca Zaia, che governano Liguria e Veneto, si sono schierati al suo fianco. Tecnici e analisti spiegano perché non potranno farlo.

  1. Non sono le regioni che decidono le politiche dell’immigrazione in Italia. È lo stato che ha competenza in materia. “Lo sancisce l’articolo 117 della costituzione”, spiega Raffaele Bifulco che insegna diritto costituzionale all’università Luiss di Roma. Le regioni hanno competenze che finiscono per rientrare in questo grande tema soprattutto a livello concreto e organizzativo, come la gestione dei fondi destinati all’assistenza sociale o alla sanità. Ma la costituzione, all’articolo 2, stabilisce il principio secondo cui l’Italia difende i diritti di tutti. “Un presidente della regione che cerca di impedire a un comune di mettere in pratica ciò che è stabilito tra i principi fondamentali della nazione, va contro la costituzione. Semplicemente, dice una cosa di sicuro effetto mediatico, ma senza alcun fondamento legale”, conclude Bifulco.
  2. Oltre alla costituzione, vari trattati internazionali e direttive europee obbligano l’Italia ad accogliere i richiedenti asilo, “dal momento in cui mettono piede nel paese fino al termine, positivo o negativo, dell’iter burocratico della domanda d’asilo”, commenta Gianfranco Schiavone, esperto di diritto d’asilo dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che cita tra gli altri la direttiva numero 33 che l’Unione europea ha approvato nel 2013.
  3. Proprio perché le regioni non hanno competenze in materia di immigrazione, non sono loro che decidono a chi dare o meno i soldi per l’accoglienza. “Le regioni non dispongono di fondi specifici destinati ai profughi. Le risorse che servono per aprire centri e presidii sono europee e statali”, specifica Ennio Codini, professore di diritto pubblico all’università Cattolica e consulente dell’Ismu. “È una leggenda metropolitana quella secondo cui i comuni o le regioni mantengono di tasca propria i richiedenti asilo presenti sul loro territorio”, chiarisce Schiavone. È vero che le regioni dispongono di fondi destinati genericamente all’assistenza, “quelli che servono per le mense per i poveri o per i dormitori per i senza tetto per esempio”. Ma “come può una regione decidere che alcuni comuni aiutano troppo gli stranieri e tagliare finanziamenti che sono destinati anche agli italiani?”, si chiede il professor Codini. “Sarebbe un controsenso”.
  4. Infine, nemmeno un anno fa, sono state le regioni stesse, insieme ai comuni e alle province, a concordare e firmare con il ministero dell’interno un piano operativo sulla gestione degli immigrati. In quel protocollo ognuno si impegnava a fare la sua parte. Riassume Schiavone: “Si stabiliva il principio dell’accoglienza diffusa e cioè che i richiedenti asilo che arrivano in Italia devono essere distribuiti fra le 20 regioni, a seconda del numero di abitanti e del tenore economico di quella regione. Non si capisce perché a un anno dalla firma, alcuni governatori decidano di venir meno alla parola data”.

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