23 ottobre 2015 15:52

Tutto giunge a un termine. È quello che sta pensando l’opposizione in Argentina, perché le elezioni del 25 ottobre saranno il canto del cigno della coppia formata da Cristina Fernández e da suo marito Néstor Kirchner, ormai morto. Per ora i sondaggi danno come favorito Daniel Scioli, del Frente para la Victoria, che rappresenta la continuità con il governo attuale e che otterrebbe circa il 40 per cento dei voti, seguito dall’oppositore Mauricio Macri, della coalizione Cambiemos, con un 30 per cento, e da Sergio Massa, della coalizione Una, con il 20 per cento.

Scioli però non può cantare vittoria: per vincere al primo turno dovrebbe ottenere più del 40 per cento dei voti e un distacco del 10 per cento da Macri. Altrimenti dovrà andare al ballottaggio il 22 novembre, quando i voti dei suoi oppositori potrebbero strappargli la vittoria. Come dice Ignacio Ramírez, direttore di Ibarómetro, “è impossibile prevedere con certezza il risultato elettorale del 25 ottobre: abbiamo molte certezze e molti dubbi”.

“Sono elezioni difficili”, spiega a Semana l’analista politico Roberto Bacman. “Quando il margine è così ristretto per noi è difficile fare pronostici, perché anche se Scioli è dato al 40 o al 41 per cento c’è sempre un margine di errore statistico”, spiega.

Scioli, l’attuale governatore della provincia di Buenos Aires, gode del favore del 40 per cento degli elettori e si presenta come il garante della continuità rispetto al resto dell’America Latina, come difensore del Mercosur e dell’Unasur. Sul fronte interno, Scioli è l’erede di un decennio in cui disoccupazione e povertà sono diminuite, è stato introdotto l’assegno familiare per i figli, la copertura pensionistica è diventata quasi universale, sono riprese le trattative salariali, i militari colpevoli di violazioni dei diritti umani durante la dittatura (1976-1983) sono stati processati e sono state approvate leggi come il matrimonio gay.

L’ingegnere Mauricio Macri, ex sindaco di Buenos Aires, è il candidato che si oppone di più al modello kirchnerista, quello preferito dagli imprenditori e dalla classe media della capitale e di tutta la provincia. Macri non riesce a ottenere il favore di più di un terzo degli elettori. Per cercare di vincere ha dovuto moderare il suo discorso: ha detto che non andrà contro quanto è stato ottenuto negli ultimi dieci anni, che non annullerà i piani sociali e non riprivatizzerà l’industria petrolifera Ypf o Aerolíneas Argentinas.

Da quando ha ammorbidito le sue proposte, la sua immagine di oppositore al kirchnerismo ne ha risentito. La sua campagna elettorale punta sui suoi successi nella gestione della città, con le piste ciclabili e gli autobus simili a quelli di Bogotá. Macri sfoggia magliette gialle, balla la cumbia e imita Freddy Mercury. Nonostante i suoi sforzi, non riesce a conquistare quella parte della società che guarda con sospetto alla sua carriera di uomo d’affari e alle sue proposte liberali, e che non vuole cambiamenti radicali.

Sergio Massa, ex capo di gabinetto di Cristina Fernández dal 2008 al 2009, rappresenta una via di mezzo tra il “macrismo” e lo “sciolismo”: nelle sue liste ci sono dirigenti peronisti che hanno sostenuto il Frente para la Victoria in passato e non si oppone al kirchnerismo come Macri. Secondo Bacman, Massa sta guadagnando terreno negli ultimi sondaggi, non abbastanza per aggiudicarsi il secondo posto ma quanto basta per ostacolare l’ascesa di Macri.

Un ampio settore della popolazione ha paura di perdere le conquiste ottenute con questo governo

“Anche se le forze al governo hanno il maggior numero di voti, i tre mandati consecutivi del kirchnerismo e la difficile situazione economica fanno sì che i voti di Scioli siano proporzionalmente meno”, spiega l’analista Ricardo Rouvier a Semana.

“Macri è limitato dal fatto di essere uno dei leader dell’opposizione. Non è abbastanza carismatico per scatenare una fuga di voti a suo favore e riuscire ad arrivare al ballottaggio. D’altro canto la presidente ha una popolarità di più del 50 per cento, la situazione per le forze al governo non è così disperata, non ci sarà una fuga di voti verso Macri”, spiega.

Anche se molti sono stanchi del kirchnerismo, un ampio settore della popolazione ha paura di perdere le conquiste ottenute con questo governo. Per questo né Scioli, né Macri riescono a superare rispettivamente il 40 e il 30 per cento delle intenzioni di voti, un risultato simile a quello delle primarie che si sono svolte il 9 agosto.

Nella lotta tra Macri e Massa per ora non c’è una frattura netta. “Macri cerca di conquistare il voto utile, ma non sembra che ci sia riuscito”, dice Rouvier.

“La società è divisa in tre. C’è il kirchnerismo vero e proprio, con una forte impronta ideologica, di un quarto degli elettori, a cui bisogna aggiungere un kirchnerismo più superficiale, periferico. Insieme arrivano al 35 per cento. Sono persone che non vogliono cambiamenti, che vogliono che tutto resti com’è”, dice Bacman. “Il 15 per cento degli elettori è molto pragmatico, non è né favorevole né contrario al kirchnerismo.

Come dimostra l’esperienza latinoamericana, è molto difficile sconfiggere i candidati del governo

Quattro anni fa questi elettori hanno votato per Cristina Fernández, quando ha ottenuto il 54 per cento. Criticano il suo stile e alcune misure economiche, ma non vogliono cambiamenti bruschi e vogliono che quanto fatto finora sia mantenuto. C’è poi un 45 per cento della popolazione che è decisamente antikirchnerista, che vuole un cambiamento radicale”. Sarà il 15 per cento di indecisi, che potrebbe votare per una parte o per l’altra, a decidere il risultato delle elezioni.

Come dimostra l’esperienza latinoamericana, è molto difficile sconfiggere i candidati del governo. Correndo separatamente, Macri e Massa hanno indebolito la loro posizione trasformando la parte finale della campagna elettorale in una lotta a due per vedere chi strappa più voti all’altro, invece di unirsi per arrivare al ballottaggio.

Il candidato che sarà eletto il 25 ottobre o il 22 novembre deve prepararsi a guidare una nave in mezzo alla tempesta. Sono ormai lontani gli anni del boom delle materie prime che hanno favorito il mandato kirchnerista. Adesso il vento soffia contro l’economia mondiale, con il crollo generalizzato dei prezzi delle materie prime e la ripresa del dollaro statunitense.

La recessione in Brasile (il principale partner commerciale dell’Argentina) e la svalutazione del real del 76 per cento rispetto al peso complicheranno seriamente la situazione, dato che il 50 per cento delle esportazioni argentine sono dirette nel paese vicino. A questo bisogna aggiungere il processo contro gli hedge fund negli Stati Uniti, che finanziando solo il 7 per cento del debito argentino sono riusciti a paralizzare i prestiti al paese. Ci sono poi grandi squilibri che sono aumentati nel tempo, con il crollo delle riserve e le limitazioni di acquisto di dollari statunitensi che ha creato due diversi tassi di cambio: il dollaro ufficiale vale 9,50 pesos, per strada la quotazione è di 16 pesos.

Sul fronte interno sarà necessario diminuire l’inflazione, che quest’anno si aggirerà sul 25 per cento, il deficit fiscale, che ammonta all’8 per cento del pil, e l’emissione monetaria (del 40 per cento annuale), facendo però in modo di tutelare i piani sociali e i sussidi ai settori più in difficoltà. Bisognerà frenare la disoccupazione e conservare il potere di acquisto dei salari. È un cocktail esplosivo per l’alleato del governo o l’oppositore che si guadagnerà il diritto di occupare la Casa Rosada nei prossimi quattro anni.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è uscito su Semana. Per vedere l’originale clicca qui.

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