26 marzo 2024 11:48

Il 30 novembre 2021 Ethan Crumbley, un ragazzo di quindici anni di Oxford, in Michigan, negli Stati Uniti, ha aperto il fuoco nella sua scuola uccidendo quattro compagni e ferendo altre sette persone, tra cui un insegnante. In seguito è stato dichiarato colpevole di omicidio di primo grado e nel dicembre 2023 è stato condannato all’ergastolo senza condizionale. Passerà il resto della vita in carcere.

Anche i suoi genitori hanno dovuto affrontare un processo. Nel febbraio 2024 un tribunale del Michigan ha giudicato Jennifer Crumbley, la madre di Ethan, colpevole di omicidio colposo. Secondo il giudice era stata talmente disattenta, imprudente e superficiale – nel maneggiare un’arma, permettere al figlio di usarla e nel valutare il suo malessere – da poter essere ritenuta penalmente responsabile. Il 14 marzo, in un altro procedimento, James Crumbley, marito di Jennifer e padre di Ethan, ha ricevuto una sentenza simile. Entrambi rischiano quindici anni di detenzione (la condanna sarà emessa il 9 aprile). È la prima volta che i genitori di uno studente che ha compiuto una strage a scuola sono accusati direttamente delle morti provocate dal figlio.

Per capire come le due giurie sono arrivate a questa conclusione, dobbiamo tornare al 30 novembre 2021. Quel giorno i coniugi Crumbley erano stati convocati dal preside dopo varie segnalazioni dei docenti, l’ultima arrivata quella mattina stessa da un’insegnante che aveva trovato Ethan intento a disegnare sul compito di geometria una pistola e un corpo crivellato dai proiettili accanto a frasi inquietanti. Nonostante le preoccupazioni e le insistenze della scuola, i Crumbley hanno liquidato la faccenda come una sciocchezza e se ne sono andati, dicendo che dovevano tornare al lavoro. Qualche ora dopo, il ragazzo ha tirato fuori dallo zaino la pistola compratagli dai genitori la settimana prima e ha cominciato a sparare.

Sapendo com’è andata, probabilmente la prima domanda che viene spontanea è se un adulto può comprare un’arma a un minorenne. La risposta è sì: per la legge del Michigan chi ha meno di diciotto anni è autorizzato a possedere un’arma per la caccia, per esercitarsi al poligono di tiro e comunque sotto la supervisione di un adulto.

Nel luglio 2022 il New York Magazine ha pubblicato un articolo su Jennifer e James Crumbley, ricostruendo la loro vita nella settimana prima della sparatoria e i giorni successivi. È un lavoro molto esaustivo (occuperebbe quasi quindici pagine di Internazionale) che analizza in profondità le dinamiche familiari e gli squilibri personali senza però cadere nel morboso. Alcuni passaggi dell’articolo mi hanno colpito particolarmente.

Il primo racconta di quando Jennifer porta Ethan al poligono di tiro a provare la pistola che il padre ha acquistato per lui il giorno prima. È sabato 27 novembre 2021 (tre giorni prima della strage). Il poligono si chiama Accurate Range e si presenta come un posto per famiglie: ha uno spazio per le feste, organizza incontri mattutini per gli anziani con caffè e ciambelle e la giornata delle mamme con spuntini e noleggio di armi gratuito. Sponsorizza cene parrocchiali e alle fiere promuove “attività all’aperto adatte ai bambini, lotterie e bellissime esposizioni di animali selvatici”. Quella sera Jennifer posta su Instagram la foto del bersaglio di carta pieno di buchi.

Un secondo aspetto riguarda il contesto. Oxford è una città di 22mila abitanti, a nord di Detroit. Dal punto di vista politico, “è di un viola puro”, cioè negli ultimi trent’anni ha votato alternativamente per candidati repubblicani (i rossi) e democratici (i blu). La Oxford high school, l’unica scuola superiore della città, è il centro della vita sociale. L’articolo del New York Magazine, però, dice anche che Oxford è la tipica città delle armi. Bambini di quattro o cinque anni le ricevono in regalo, gli adolescenti pubblicano sui social selfie con i loro fucili e i trofei di caccia. Subito dopo la strage, non è raro incrociare pick-up con due tipi di adesivi attaccati sul paraurti: uno con scritto “Oxford strong”, l’adattamento di un’espressione usata spesso dalle comunità colpite da un massacro; l’altro con un fucile d’assalto e un riferimento al secondo emendamento della costituzione statunitense (che riconosce il diritto a possedere armi).

Inoltre, anche se la scuola superiore è considerata la forza trainante della città, ha poco sostegno su alcuni fronti, come quello della salute mentale. Nel novembre 2021 i 1.800 studenti hanno a disposizione solo quattro consulenti scolastici, che quindi riescono a dedicare a ognuno di loro appena dieci minuti durante l’anno, salvo crisi urgenti. Tre quarti delle strutture statali che offrivano assistenza psichiatrica a bambini e adolescenti sono state chiuse alla fine degli anni novanta in una serie di tagli alla spesa pubblica che hanno penalizzato soprattutto i piccoli centri urbani.

L’ultimo elemento per me significativo dell’articolo riguarda la procuratrice, Karen McDonald. Ex insegnante e madre di cinque figli, a una conferenza stampa tre giorni dopo la sparatoria annuncia la decisione di incriminare i Crumbley. Non si capacita del fatto che dei genitori possano essere stati così sconsiderati da comprare una pistola al figlio adolescente, con problemi di depressione e ossessionato dalle armi e dai videogiochi violenti, e dirgli che era sua. Vuole dimostrare che i Crumbley hanno pesantemente trascurato i loro doveri di genitori non esercitando quella che la legge definisce “cura o supervisione ordinaria”. Di solito la cura ordinaria si cita nei processi civili per sostenere una negligenza (per esempio, quando un commerciante non toglie la neve e il ghiaccio all’entrata del suo negozio e un cliente scivola e si rompe una gamba). La negligenza non è un reato, ma se è giudicata grave può portare a condanne pesanti, come quella per omicidio colposo.

Molti genitori, però, hanno figli con dei problemi che fanno cose sbagliate, anche terribili. Qual è il limite tra cattiva educazione e reato? E qual è il ruolo della scuola?

In reazione a una delle tante stragi, nel 2012 due ricercatori di Yale hanno scritto un commento piuttosto duro sulla rivista Time: “C’è la convinzione che il destino e i fallimenti di un bambino siano in gran parte nelle mani dei suoi insegnanti, con cui passa circa mille ore all’anno. Ma le restanti 7.760 ore sono affidate ai genitori. (…) Non stiamo suggerendo che una sola persona può essere considerata responsabile per ogni passo falso compiuto da un bambino. Né che i genitori non dovrebbero poter fare errori, anche gravi”, precisano gli autori. “Tuttavia, il 90 per cento delle sparatorie mortali che coinvolgono bambini fino ai quattordici anni avviene in casa. Come possiamo parlare di violenza nelle scuole senza riconoscere il luogo in cui la violenza è stata concepita e alimentata?”.

Dopo le sentenze contro i coniugi Crumbley Hub, il sito d’informazione della Johns Hopkins university, ha riportato il parere di Tim Carey, consulente legale e politico del Center for gun violence solutions. Carey afferma che è improbabile che la vicenda rappresenti uno spartiacque, sia per la gravità del fatto sia per le condizioni eccezionali: dei genitori hanno dato a un figlio problematico un’arma e hanno ignorato avvisaglie di violenza che invece per la scuola erano evidenti. La maggior parte delle stragi nelle scuole non ha queste caratteristiche. A volte non è chiaro come lo studente abbia avuto accesso all’arma che poi ha usato o quanto lampanti fossero i segnali di pericolo.

Ma queste due sentenze sono importanti perché spostano l’attenzione sul tema della responsabilità e sull’accesso dei minorenni alle armi da fuoco. Dal 1997 negli Stati Uniti si sono registrate più di 1.500 sparatorie nelle scuole, e circa tre quarti delle volte chi ha sparato si era procurato le armi in casa sua o in quella di un amico. L’articolo del New York Magazine nota che 4,6 milioni di minori vivono in case dove ci sono armi da fuoco cariche e non custodite, e cita un sondaggio per cui il 70 per cento dei genitori detentori di armi è convinto di averle messe al sicuro, mentre un terzo dei loro figli adolescenti afferma di poterle trovare in cinque minuti.

La legge dà indicazioni precise su come andrebbero custodite le armi in casa: in un contenitore chiuso a chiave, scariche e comunque non accessibili alle persone che non possono usarle (adolescenti e bambini, ma anche amici, ospiti, intrusi). “Bisogna concentrarsi sulla prevenzione”, conclude Carey. “Vedere i rischi che abbiamo di fronte e cercare di trovare il modo di ridurli”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.

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