06 maggio 2015 15:00
Soliera, Modena, 2009. (Martino Lombezzi, Contrasto)

Ventisei giornalisti dell’Unità e gli ex direttori Concita De Gregorio, Claudio Sardo e Luca Landò sono chiamati a risarcire tutti quelli che, da Silvio Berlusconi ad alcuni generali dei servizi segreti, hanno fatto causa al quotidiano negli anni passati.

Dopo la chiusura del giornale la società editrice (la Nie di Renato Soru) si è dileguata e il Partito democratico, il partito di riferimento che ora vorrebbe riportare il giornale in edicola, finora si è limitato a dire che questo non è un suo problema.

In base alla legge della stampa, una causa di risarcimento danni coinvolge tre soggetti: l’autore dell’articolo, il direttore del giornale e l’editore. Ma se il terzo soggetto, che dovrebbe garantire i primi due, viene meno, giornalista e direttore si trovano esposti all’azione giudiziaria.

In questo caso, dopo un pronunciamento di primo grado, i giornalisti e gli ex direttori del giornale sono chiamati a vario titolo a pagare una cifra che complessivamente si aggira intorno al mezzo milione di euro. Una cifra notevole, per raggranellare la quale sono partiti i pignoramenti delle case e degli stipendi.

Sia, quindi, verso quei giornalisti che hanno lavorato e continuano a lavorare in territori difficili, in Sicilia e in Calabria. Sia verso gli ex direttori: la più vessata, Concita De Gregorio, ha subìto quaranta cause.

Come sottolineato dalla Federazione nazionale della stampa, quello che sta succedendo agli ex giornalisti dell’Unità, nel silenzio della politica, è la spia di una crisi molto più profonda.

Negli ultimi anni sono decine le testate che hanno chiuso e ancora di più gli editori che sono evaporati, lasciando le redazioni non solo senza lavoro ma anche esposte al rischio di cause simili. Le querele e le richieste esorbitanti di risarcimento danni sono sempre abbondate nel mondo del giornalismo, e spesso sono state utilizzate come arma d’intimidazione contro le inchieste più scomode, contro i lavori di indagine più approfonditi.

Ma in un mondo dell’editoria disarticolato, rischia ora di crearsi un effetto perverso. I giornalisti sono esposti direttamente ai pignoramenti, a dover risarcire somme che non metterebbero insieme neanche in cinque-sei anni di retribuzioni, qualora non siano in grado di difendersi e farsi difendere adeguatamente nei processi. Unendo tutto ciò alla riduzione del numero di testate ancora solide, il panorama che ne viene fuori appare sempre più asfittico.

Sollecitato dalla Federazione nazionale della stampa, il tesoriere del Pd Francesco Bonfazi ha annunciato che il primo impegno sarà quello di destinare i residui contributi pubblici a un fondo di solidarietà per la libertà di informazione.

Tuttavia, al di là delle proposte, è evidente che il nodo Unità, oltre a essere la spia di una situazione più generale, riguardi direttamente anche il rapporto tra il Pd di Matteo Renzi e la testata storica che la nuova segreteria intende riportare in edicola.

Qual è il giudizio politico su queste “pendenze” del passato? E cosa dicono dello stato di salute della stampa? E, soprattutto: a cosa serve un giornale?

Di recente Franco Cassano, parlamentare del Partito democratico e autore di L’umiltà del male, ha ammesso di trovare “scandaloso che il più grande partito italiano non abbia un giornale, una sede nella quale si possa manifestare e costruire la sua opinione pubblica e che l’unico modo per conoscere l’opinione dei suoi dirigenti sia leggere le interviste che essi di volta in volta rilasciano ai grandi giornali. Sarebbe un modo attraverso il quale limitare il protagonismo esclusivo del leader e dei suoi critici”.

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