02 febbraio 2006 00:00

Gli uccelli, bellissimi e iridescenti, giacciono in una busta di plastica. Sono una coppia – una coppia giovane. Nella mia mente scorrono immagini di macabro romanticismo mentre penso alla personalità dei due amanti morti. Lui era un tipo che si pavoneggiava, un bellimbusto orgoglioso. Lei una bibliotecaria vecchio stile; timida, ma intelligente.

La sensibilità di lei unita allo sconfinato senso d’avventura di lui dava ai due quell’aria di invincibilità impenetrabile che emanano le anime gemelle quando si trovano di fronte alla banalità del resto del mondo. Sono indeciso su cosa fare prima: mozzargli le teste o spennarli.

I fagiani sono un regalo del mio amico Gordon. Suo padre fa il guardiacaccia vicino a Loch Lomond. Decido di spennarli, e comincio con lui. Mentre lo svesto raccolgo i suoi abiti nella busta di plastica. Cerco di essere delicato. Se non faccio attenzione la pelle si strappa e appare il grasso sottocutaneo giallastro. Lo spoglio della sua dignità per lasciarlo completamente nudo, a parte le piume intorno alla testa. Sembra un gangster assassinato, umiliato nella morte, rimasto solo con la brillantina e il cappello di feltro.

Dove è stato colpito dagli spari ha la pelle di un viola livido. Scavo intorno alle ferite per tirar fuori le pallottole. Per pulire la sua donna invece ci metto meno, come se a lei non importasse più tanto di perdere il vestito trasandato. Poi gli taglio le teste, e in quel momento si trasformano: non sono più creature con una personalità. Sono solo carne.

Sono schizzinoso ai limiti dell’imbarazzante. Di recente ho visto Piccoli affari sporchi in aereo e sono svenuto durante la scena dell’operazione. Mi sono risvegliato con uno steward che mi schiaffeggiava. Ma mentre estraggo le interiora viscide dal corpo degli uccelli non provo nulla. Mi domando se è perché ho già sventrato centinaia di uccelli, ma non è questa la ragione.

È perché non si tratta più di uccelli. Adesso sono carne, e non si può provare compassione verso la carne. Mi spaventa riflettere sulle implicazioni profonde di tutto ciò, quindi non lo faccio. Piuttosto mi metto al lavoro. Faccio rosolare i pezzi, li metto in una teglia con verdure e odori, e poi affogo il tutto con una bottiglia di vino. Qualche ora dopo, al lume di candela, c’è un mormorio collettivo: “Squisito”. “Tenerissimo”. “Stagionatura perfetta”.

Di là, sotto le bucce di patate e la polvere del caffè macinato, sono ancora nascoste delle splendide piume, come un segreto di cui sono a conoscenza solo l’assassino e la sua vittima.

Internazionale, numero 627, 2 febbraio 2006

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