02 febbraio 2015 14:25

“La memoria è una facoltà straordinaria, forse la più fantastica che possediamo”, scrive il neuroscienziato Edoardo Boncinelli. E aggiunge che ne sappiamo ancora troppo poco.

Sappiamo che i ricordi vengono acquisiti attraverso l’ippocampo e che poi si fissano da qualche parte della corteccia cerebrale, ma non capiamo ancora bene dove, né come sono scritti. L’altra cosa che sappiamo è che “queste tracce nervose che sono i nostri ricordi non rimangono lì inerti e fisse, ma vengono sistematizzate e riorganizzate di continuo”. Insomma, poiché ai ricordi vecchi se ne aggiungono di nuovi, abbiamo un gran da fare per riconnettere costantemente tutto quanto, ed è un processo che “non si arresta mai”.

Noi – e il nostro cervello – siamo più complicati di un computer: “Se i ricordi fossero taccuini conservati in un armadio o anche solo file elettronici conservati nella memoria di un hardware, con il passare degli anni l’armadio o la memoria dell’hardware dovrebbero essere sempre più grandi e a un certo momento raggiungere limiti invalicabili, tuttavia sappiamo che non è così”, diceBoncinelli.

Dunque ogni notte, mentre dormiamo, il cervello rimette tutto a posto in modo che non si perdano le connessioni tra memorie vecchie e nuove. In sostanza è come se il cervello ogni notte, e per ogni nuovo evento, informazione o fatto ricordato, rivedesse l’intreccio di rimandi e significati che sta nella nostra memoria. Così, il senso di quello che già ricordiamo può essere cambiato dall’aggiunta di un ricordo nuovo: è concepibile che l’immagine interiore del teorema di Pitagora – questo è l’esempio che fa Boncinelli – sia modificata da apprendimenti più recenti, come l’esistenza delle geometrie non euclidee, o della materia oscura. “Noi siamo i nostri ricordi e in primo luogo il tipo di criterio utilizzato per far prendere forma di ricordo alle nostre percezioni”, conclude Boncinelli.

In effetti, questa faccenda dei significati che si modificano alla luce di ulteriori elementi non riguarda solo la memoria.

Quando ci scambiamo informazioni comunicando, è sempre il contesto (cioè l’insieme dei dati che “stanno attorno” a un testo, quale esso sia) a determinare il significato del testo medesimo: “Non è possibile interpretare un atto comunicativo se non si conosce il contesto entro cui esso si produce”.

Questa affermazione può apparire esoterica, ma il fenomeno in sé è ben noto a tutti.

Sappiamo che “calcolo” (testo) ha un significato diverso se il discorso (contesto) ruota attorno all’algebra o alle patologie renali. Sappiamo che l’esclamazione “è una pizza pazzesca!” assume un senso diverso nel contesto di una pizzeria o in quello di un teatro. Sappiamo che la frase “sarò sempre con te” può suonare, secondo i contesti, come una dichiarazione d’amore o una minaccia. E così via, crescendo dai minimi frammenti di testo ai grandi discorsi.

Ovviamente, anche l’aggiunta di un nuovo, ulteriore elemento di contesto può modificare il senso di un testo. Lo racconta bene il New Yorker (tradotto sul numero 1086 di Internazionale), che dice come la scelta di un titolo per un articolo di giornale modifichi la percezione del senso dell’intero articolo.

Ma non solo: facendo leva su questa, chiamiamola così, malleabilità del senso dei testi in relazione ai contesti, è possibile cambiare in modo radicale il senso percepito di un’affermazione o di un fenomeno alterandone intenzionalmente la definizione o la cornice (frame) contestuale: è l’[effetto framing](http://it.wikipedia.org/wiki/Framing_(scienze_sociali)), ben noto ai politici, agli economisti e ai comunicatori di professione.

Bene: fin qui i fatti e le teorie. Ma vorrei tornare alla memoria, e all’affermazione che “noi siamo i nostri ricordi”, per un commento.

Quel che dice Boncinelli, e soprattutto quel che il suo discorso evoca, configura una prospettiva affascinante: se noi effettivamente, per esempio, rileggiamo il teorema di Pitagora alla luce delle nuove conoscenze sui buchi neri, allora vuol dire che ciò che succede dopo (per esempio, quello che impariamo o che ci capita oggi, e che si fisserà tra i nostri ricordi questa notte) può illuminare in modo un po’ diverso quello che abbiamo imparato o che è già successo ieri, o cinque mesi o dieci anni fa, cambiandone il senso.

Vuol dire che, mentre di giorno ci costruiamo il nostro presente, ogni notte, poco o tanto, modifichiamo il ricordo (e, con questo, la percezione) che abbiamo del nostro passato. In altre parole: di fatto, il passato è sì passato, ma quel che oggi (o domani) decidiamo di fare, in una certa maniera ce lo può rappresentare in modo diverso.

Come se, notte dopo notte, accostando ricordo a ricordo, a poco a poco, potessimo riscrivere e rileggere la storia della nostra vita e il suo senso complessivo.

Così, decidendo di fare o imparare cose nuove, e con questo di procurarci nuovi ricordi, forse possiamo, come dire? decidere di dare nuova luce e un senso diverso (magari, migliore) al grande, personalissimo e cangiante palinsesto di formazione che sta nella nostra memoria. Possiamo modificarne il titolo. O dare a tutto quanto una nuova cornice.

È una prospettiva che potrebbe perfino far sentire (quasi) onnipotenti. Che di sicuro carica ogni atto, presente e futuro, di una maggiore responsabilità, e di un brivido in più.

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