08 febbraio 2016 12:10

La Repubblica l’ha inserito nella lista dei 20 italiani che possono cambiarci la vita, il New Yorker l’ha messo nell’elenco dei world changers. Stefano Mancuso dirige il laboratorio di neurobiologia vegetale di Firenze. Ha un sorriso gentile e un tono di voce pacato, ma quel che dice è davvero sorprendente.

Ho avuto il privilegio di sentirlo parlare nel corso di un convegno intitolato Idee per abitare il mondo, organizzato da Unicoop. L’idea di base è che le piante possano offrire un modello per la modernità. Ma dai, figuriamoci, uno pensa. E invece è proprio così.

Quando parliamo di vita, racconta Mancuso, prima di tutto pensiamo a noi stessi, e poi agli animali. Eppure si stima che tra il 95 per cento e il 99,5 per cento della biomassa del pianeta sia composta da piante. Se si osserva la questione della vita in questi termini, la presenza animale (compresa la nostra) è ininfluente.

Tuttavia il mondo vegetale ha sempre suscitato scarsa attenzione: nella Bibbia, Noè salva dal diluvio universale una coppia di ogni specie animale ma si dimentica dei vegetali. Eppure è il ramoscello d’ulivo portato da una colomba a segnalargli che il diluvio è finito. Eppure la prima cosa che fa, terminato il diluvio, è piantare l’albero della vite.

Aristotele riteneva il mondo vegetale più vicino al mondo inorganico che a quello animale: le piante non possono muoversi né sentire, dice, e dunque non sono “animate”. Poi ci ripensa, perché dopotutto sono in grado di riprodursi, e decide che sì, non sono proprio inanimate, ma quasi.

Noi la pensiamo più o meno ancora come Aristotele.

Proprio perché non possono scappare, le piante sono molto più sensibili rispetto agli animali

Le piante sono organismi pionieri. Usano pochissima energia, e ne producono più di quanta ne consumano. Sono autotrofe, cioè energeticamente autosufficienti, perché la loro sopravvivenza in termini di nutrimento non dipende da altri esseri viventi. Le piante da fiore (angiosperme) sono la grande maggioranza e sono apparse sul pianeta dopo l’apparizione dei mammiferi. Sono organismi molto moderni ed evoluti. Sono molto, molto diverse da noi su due dimensioni fondamentali: lo spazio e il tempo.

Le piante stanno sempre nello stesso posto: sono organismi sessili, cioè con radici.

Ma se sei radicato e non ti puoi muovere devi essere davvero resiliente e avere strategie di sopravvivenza più sofisticate di quelle che può mettere in atto un animale in grado di fuggire o di nascondersi. E non puoi avere organi singoli perché altrimenti, se un animale mangia un pezzo di te, muori.

Per questo le piante non sono individui (in dividuus significa non divisibile). E non hanno organi singoli. Sono organismi modulari, e le stesse funzioni che gli animali concentrano in singoli organi sono invece diffuse in tutto il corpo.

Proprio perché non possono scappare, le piante sono molto più sensibili rispetto agli animali: il loro unico modo di resistere è capire quel che succede con grande anticipo, in modo da potersi modificare in tempo.

Le piante possono percepire 20 diversi parametri chimichi e fisici. Arrivano a memorizzare e a imparare. Comunicano tra loro attraverso segnali chimici di attrazione o di allarme, e si aiutano a vicenda quando una pianta imparentata è in difficoltà.

Se definiamo “intelligenza” la capacità di percepire i cambiamenti dell’ambiente esterno e di retroagire nella maniera più adeguata possibile, potremmo dire che le piante percepiscono e retroagiscono, dunque sono “intelligenti”. Ma è “intelligente” perfino una muffa, il Phisarum polycephalum, un organismo unicellulare che sa trovare la strada più breve per raggiungere il suo cibo favorito (avena) in un labirinto.

Il Phisarum sa fare una cosa ancora più complessa: se attorno gli vengono disposti chicchi di avena collocati nella stessa posizione in cui si trovano i villaggi attorno a Tokyo rispetto al centro, replica il percorso della metropolitana: il più razionale, frutto dello studio di decine di ingegneri che hanno impiegato complessi algoritmi. Se volete far conoscenza con il Phisarum, guardate questa Ted Conference. Ne vale la pena.

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L’altro punto di differenza tra le piante e noi riguarda il tempo: quello delle piante è più lento. Ma se acceleriamo il loro tempo, per esempio grazie a una ripresa in time-lapse, vediamo che si muovono, eccome. E che sanno come e perché muoversi. Guardate questo video.

Consciamente o inconsciamente, conclude Mancuso, attraverso gerarchie e ordinamenti sociali noi replichiamo la nostra morfologia di esseri animali: una testa che comanda, braccia che eseguono… tutto quello che riusciamo a immaginare è strutturato secondo questo modello, che è debole e vorace in senso energetico. Forse dalle piante e dalla loro struttura a rete abbiamo più di una cosa da imparare.

Di sicuro non possiamo continuare a tagliare tremila ettari di foresta al giorno. Conosciamo il 20-30 per cento delle piante sul pianeta. Di queste, il 70 per cento è in via di estinzione. Noi usiamo energia e farmaci che vengono dalle piante. Noi dipendiamo dalle piante, e non possiamo dimenticarcene.

Se volete ascoltare Stefano Mancuso, qui c’è un’altra Ted Conference.

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Se volete approfondire, leggete Verde brillante.

Aggiungo solo un commento.

Dobbiamo sentirci in colpa quando mangiamo una foglia d’insalata o affettiamo una cipolla? Il tema, credo, non è questo: noi abbiamo il nostro posto nella catena alimentare e le piante hanno il loro. E poi: il fatto che la cipolla sia buona ci persuade non solo a mangiarla, ma anche a prendercene cura e a coltivarla.

Ho la sensazione che il tema sia un altro. Forse varrebbe la pena di smettere di far fuori biodiversità vegetale. Forse potremmo chiederci se l’agricoltura intensiva, oltre a esaurire il suolo e a desertificarlo, non renda le piante “più stupide”, cioè più incapaci di reagire in modo autonomo alle avversità esterne. Forse, soprattutto, dovremmo recuperare rispetto e meraviglia per la vita che ci circonda, animale e vegetale. E ricordarci che abitiamo il nostro pianeta non da soli, e che il pianeta non è per niente solo “nostro”.

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