25 agosto 2005 00:00

Beppe Grillo “a tutto spot”? Grillo che ingozza di pubblicità i suoi spettatori come il Gabibbo? Chi conosce il mio lavoro degli ultimi quindici anni sa che questo è tanto probabile quanto vedere il dottor Girolamo Sirchia che distribuisce sigarette gratis fuori dalle scuole vestito da cammello di peluche.

Eppure mi è toccato leggere anche questa, addirittura sul Corriere della Sera. Tra le “star antiberlusconi che dominano la pubblicità” (“Comici di sinistra a tutto spot”) ci sarebbe anche Beppe Grillo: “Per non parlare di Gene Gnocchi”, scrive il Corriere, “di Lella Costa, di Beppe Grillo (ha peccato anche lui, anche se ora si dimostra pentito), delle centinaia di telepromozioni del Gabibbo”.

Ho fatto una sola campagna pubblicitaria in tv, vent’anni fa, per qualche mese, per uno yogurt. Avevo improvvisato gli spot con mezzi irrisori, la campagna vinse alcuni premi internazionali. Era un prodotto sano, non mi sembrava di far danni.

Poi cominciai a riflettere sulle conseguenze economiche e sociali della macchina pubblicitaria. Non “ora”, come scrive il Corriere, ma da quindici anni cerco di spiegare l’anacronismo di un’istituzione come l’industria pubblicitaria, che cerca di stimolare i consumi in paesi industrializzati come il nostro che invece dovrebbero dimezzarli un paio di volte nei prossimi cinquant’anni.

Pian piano mi sono convinto che il problema non è la pubblicità ma la sua obbligatorietà. Costringere tutti i cittadini, bambini e adulti, a ingurgitare migliaia di messaggi non richiesti (tremila al giorno, secondo chi li ha contati) è una performance che nessuna teocrazia né alcun regime totalitario erano mai riusciti a realizzare. Alcuni di questi messaggi sono idioti o bugiardi, molti promuovono merci nocive per le persone e per la natura o sfruttano in modo degradante l’erotismo e la figura della donna.

Queste però sono solo degenerazioni che aggravano ma non cambiano l’aberrazione primaria: l’obbligatorietà della pubblicità. Gli spot potrebbero essere intelligenti, promuovere merci non nocive e rinunciare all’uso perverso dell’erotismo. Ma continuerebbero a essere aberranti perché fondati sulla costrizione e non sulla libertà.

È semplice: se il mercato e la società vogliono essere liberi, la propaganda commerciale non può essere obbligatoria. Il paradosso è che proprio i principali difensori e profittatori della pubblicità obbligatoria si travestono da apostoli della libertà di tutti, quando invece l’unica che difendono è la loro libertà di sottoporre tutti i cittadini a una costrizione. Nell’unico paese al mondo in cui l’industria pubblicitaria ha occupato non solo i mass media e il paesaggio ma anche il governo e il parlamento, lo ha fatto usando un marchio – “Casa delle libertà” – che al danno unisce la beffa.

Se c’è una forma di potere illegittimo che è la negazione della libertà di tutti a vantaggio della libertà di pochi questa è proprio la propaganda commerciale obbligatoria. La prima libertà negata è quella di comprare le merci senza l’obbligo di pagarne anche la propaganda. Quando ognuno di noi compra una merce pubblicizzata non ha scelta: è costretto a pagare anche quel 5-10 per cento di sovrapprezzo generato da campagne di marketing e di pubblicità spesso inutili, invasive, stupide o offensive.

In altre parole, è con i soldi “prelevati dalle tasche degli italiani” che i magnati della pubblicità si arricchiscono e ci prendono in giro. In Italia le decine di miliardi di euro prelevati ogni anno dalle nostre tasche sono serviti anche a finanziare un partito che gli garantisca di poter continuare impuniti a mungere i cittadini.

La seconda libertà negata è quella di non ricevere i messaggi commerciali non desiderati. Per raggiungere qualche milione o a volte solo qualche migliaio di potenziali clienti, i signori della pubblicità si prendono la libertà di bombardare l’intera popolazione tutti i giorni, con un diluvio di messaggi obbligatori che è impossibile evitare.

Non solo i mezzi di comunicazione ma anche l’intero paesaggio e superfici crescenti delle nostre città sono sfigurati e trasformati in catalogo commerciale permanente e abbagliante. Il mercato, quella ingegnosa invenzione umana che ha accelerato il progresso, non è più quel posto dove hai la libertà di andare quando pensi che ti manchi qualcosa. Nell’era della pubblicità obbligatoria il mercato – o meglio i mercanti – sono l’incubo muscoloso che ti bracca e ti sommerge ovunque, quando lui ha deciso che a te manca qualcosa.

La teoria economica moderna nacque come una teoria di amministrazione efficiente della scarsità di risorse. Sembra però non essersi accorta che oggi nei paesi ricchi la risorsa che più scarseggia sono i bisogni. Grazie all’enorme produttività materiale raggiunta, i bisogni delle persone non sono all’altezza della quantità e della varietà della produzione.

Per questo, capovolgendo lo stesso significato della parola “economia”, la priorità è diventata quella della stimolazione e fabbricazione dei bisogni, per cercare di tenerli al passo con il ritmo di fabbricazione delle merci e di accumulo dei profitti. Delle altre risorse scarse – energia, terreni fertili, pesci, aria, acqua e suoli puliti – invece sembra non importare niente a nessuno.

Questo testo è tratto dallo spettacolo beppegrillo.it

Internazionale, numero 605, 26 agosto 2005

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