25 ottobre 2016 15:57

Domenica scorsa, come almeno un altro migliaio di persone, ho passato qualche ora a Casetta Rossa, a Roma. Casetta Rossa è un posto strano, un piccolo casale in mezzo a un parco, che da tempo è un punto di riferimento per il quartiere Garbatella: abbandonato per anni, rimesso in sesto con cura da un gruppo di abitanti, oggi è un’osteria, un luogo dove si fanno centinaia di presentazioni di libri, iniziative con i bambini, e spesso la sera concerti, eventi teatrali e parecchie altre cose.

Non è uno spazio come gli altri della zona, è il cuore di Garbatella, è la sintesi di come questa parte di Roma si sia trasformata negli anni: è sempre animato, ci sono sempre molte persone, soprattutto del quartiere, moltissime famiglie, d’estate e d’inverno ci trovi persone che passano qui, semplicemente si mettono a leggere un libro, sostano per ore, con i figli che intanto vanno a giocare nel parco.

Ero lì domenica, perché qualche giorno fa al gruppo che la gestisce era stato notificato da parte del municipio ottavo un documento in cui gli si intimava di andarsene.

Da un punto di vista formale Casetta Rossa ha una convenzione decennale con il comune di Roma “per la custodia, la guardiania, la sistemazione e la manutenzione del parco pubblico Tashunka Witko detto Cavallo Pazzo” e per poter svolgere “attività culturale, promozione della cittadinanza attiva, sostegno a un’economia sostenibile e all’inclusione sociale”.

Questa convenzione è stata sospesa dal municipio, amministrato dai Cinquestelle (presidente Paolo Pace), perché si sostiene che i lavori in questi anni non sono stati fatti come dovevano esser fatti e che l’osteria non era concordata, anche se poi Pace dichiara che appena Casetta Rossa sarà riconsegnata al comune ci sarà un altro bando che la riassegnerà “alle stesse persone che l’hanno gestita in questi anni”.

Un luogo come Casetta Rossa non dovrebbe essere uno spazio che resiste. Dovrebbe essere un modello per chi vuole fare politica

Quello che ogni volta genera sconforto in queste minacce di sgombero è che sono inutili, pensate male e fatte in nome di princìpi di legalità che sono l’espressione di una politica attenta solo a una rigidità burocratica astratta, che non conosce la storia dei posti che amministra né ne comprende il valore. Pensare di togliere Casetta Rossa da dove è adesso, immaginare di congelare le sue attività non è solo un esercizio arbitrario di potere, è infattibile e stupido.

Ma c’è un altro elemento che è scoraggiante ogni volta che, a Roma soprattutto, si parla di spazi sociali, ogni volta che ci si ritrova a manifestare solidarietà contro uno sgombero, un sequestro giudiziario o una minaccia di chiusura – solo negli ultimi dieci giorni ci si è ritrovati a farlo per uno storico centro sociale, il Corto Circuito a Tuscolano, e per un locale del Pigneto, l’Init – in un tentativo faticosissimo di placare un allarme continuo che da quando è stata emanata la delibera 140 sotto la giunta Marino non ha smesso mai di squillare.

Il parco di Casetta Rossa a Garbatella, Roma, 2016. (Giuseppe Chiantera)

Difendere queste esperienze dal rischio della loro fine è il minimo. Un luogo come Casetta Rossa non dovrebbe essere uno spazio che resiste. Dovrebbe essere un modello per chi vuole fare politica: un sindaco, un amministratore locale dovrebbe avere l’intelligenza, o quantomeno la furbizia, per sostenere che ci devono essere realtà simili in ogni zona di Roma. C’è una città intera, nella sterminata periferia romana, dove non c’è nemmeno l’ombra di un’organizzazione sociale del genere ed è questa la mancanza più evidente per renderla un posto vivibile.

Questo tipo di attivismo dal basso, questa semplice, evidente energia ha spesso salvato le città – in assenza di istituzioni capaci di guidare dall’alto processi di rinnovamento, di inclusione sociale. E stiamo parlando soprattutto degli aspetti meno visibili della politica. Non andrebbe messa solo sul piatto l’infinita serie di iniziative lodevoli che si svolgono a Casetta Rossa o in altre decine di posti sotto minaccia di sgombero a Roma – dalla Palestra popolare a San Lorenzo a Scup al Corto Circuito appunto – ma andrebbe tenuto presente il valore di quella che si potrebbe definire micropolitica.

A Casetta Rossa la cosa più importante è stata ed è la crescita delle relazioni: tra generazioni, tra generi, tra classi sociali diverse, tra gente del quartiere e gente che viene da fuori Roma. In un posto non solo aperto, ma attraversato come questo, si impara a capire cosa vuol dire stare in un gruppo, occuparsi dei figli degli altri, del verde pubblico comune, si impara ad avere un’idea di comunità, o diciamola meglio, di cosa sia una città contemporanea.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it