05 marzo 2012 08:16

Se il giorno del mio funerale i giornali parlassero del mio compagno come del mio “collaboratore” non avrebbero mica tutti i torti.

Ma sì, perché dopo un bel po’ di anni di convivenza e un bel po’ di figli, praticamente io e Manlio siamo prima di tutto una cooperativa che si occupa di organizzare la logistica domestica. Nel tempo libero, facciamo gli innamorati.

Nel caso di Lucio Dalla, però, il fatto che alcuni giornali definiscano il suo compagno Marco Alemanno uno “stretto collaboratore” mi è sembrato davvero ingiusto. O quanto meno riduttivo: come se Romina fosse stata definita una “stretta collaboratrice” di Al Bano.

Dopo la notizia dell’improvvisa morte del cantante, sotto la valanga di commozione e omaggi ha cominciato subito ad ardere la brace delle polemiche: Lucio Dalla va criticato per non aver mai dichiarato la sua omosessualità?

Al di là del caso specifico, il “dovere” delle persone famose di dichiararsi gay è una delle questioni più dibattute all’interno del movimento per i diritti glbt. Da un lato c’è chi difende le scelte personali e la privacy dei volti noti, dall’altro quelli convinti che, considerato l’impatto che ha sul pubblico il coming out di un artista di successo, decidere di non farlo sia è un’imperdonabile viltà.

Aldo Busi, come al solito, non parla per mezzi termini: “Non basta la morte per cancellare la magagna del gay represso cattolico che si permette tutte le scorciatoie di comodo, pur di non prendere la strada maestra più sensata della basilare affermazione di sé”.

A me dispiace molto che Dalla non abbia mai ammesso di essere gay, perché avrebbe potuto fare miracoli per rendere più aperta la generazione dei miei genitori. Ma non mi sento di biasimarlo: il fatto di avere il dono della scrittura di musiche e testi eccezionali, non comporta automaticamente quello della sicurezza di sé, del senso civico o della voglia di diventare un modello di comportamento.

E in ogni caso ormai è tardi per parlarne, perché Dalla non potrà più fare coming out.

Il dibattito che resta aperto, invece, è quello su come la stampa sta trattando la cosa. Lucia Annunziata (ex frequentatrice di family day ed ex sterminatrice di gay - ma solo per paradosso) dichiara che il funerale di Dalla è un’ottima metafora del permissivismo ipocrita con cui si vive in Italia la vicenda omosessuale: “Va tutto bene, e ti seppelliscono anche in una cattedrale […], basta che non dici di essere gay”. Luca Bianchini, sul sito di Vanity Fair, fa la lista degli epiteti con cui è stato chiamato Alemanno nei giornali:

  • “stretto collaboratore”;


  • “gli era vicino da anni”;


- “amico intimo”;


- “amico vicinissimo”;


- “la persona che più è stata vicina a Lucio negli ultimi anni”.

Bianchini, come molti altri, critica il modo imbarazzato e quasi pruriginoso con cui i giornalisti descrivono la relazione. Alla radio, discutendo dell’eredità del cantante, ho sentito parlare di “eventuale compagno”, quindi perfino di dubbia esistenza (e che, anche se esistesse, non riceverebbe nulla).

“Povero Marco”, sento dire da più parti. E non solo perché il ragazzo ha perso il suo compagno, ma perché poi ha dovuto subire l’ingiustizia di non vedere neanche riconosciuto il suo dolore.

Ma è davvero tutta colpa della stampa? Io credo di no. Io credo che Dalla abbia voluto gestire con estrema discrezione la sua vita privata, l’ha trasformata in un tabù, e i giornalisti reagiscono di conseguenza. Se Lucio Dalla non ha mai definito Marco come suo compagno, perché dovrebbe farlo qualcun altro? Perché ci si aspetta dai giornali totale scioltezza e tranquillità, se questa scioltezza e tranquillità non l’aveva neanche Dalla stesso.

Questo è un meccanismo che agisce anche nel mondo delle persone comuni: se vivi male la tua omosessualità, se non ne parli, anche gli altri la vivono male, e non ne parlano.

Sia ben chiaro: una persona gay che non ha il coraggio di dichiararsi tale è sempre e comunque una vittima dell’omofobia degli altri. Perché potendolo fare, tutti sarebbero molto più contenti di essere apertamente se stessi e non doversi mai nascondere. Chi non riesce a farlo, non dev’essere mai incolpato.

E allora, se da un lato non voglio criticare Dalla per la sua scelta, dall’altra però mi sento di assolvere la stampa, che sta solo continuando a trattare Marco Alemanno nel modo in cui lo trattava pubblicamente il suo uomo.

Nella sfera privata, quando erano tra amici intimi, forse Lucio Dalla è stato un compagno impeccabile, probabilmente formidabile. E in fondo cosa importa al “povero Marco” che il pubblico o i mezzi d’informazione abbiano ben chiaro chi sia. Resta però un piccolo paradosso: Lucio Dalla, che è stato capace di cantare le emozioni più profonde di tutti noi, non è mai riuscito a urlare al mondo il suo amore.

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