29 novembre 2023 13:36

Leontyne Price, nata a Laurel nello stato del Mississippi nel 1927, è stata la prima superstar afroamericana dell’opera lirica. Prima di lei c’erano stati Marian Anderson (1897-1993) e il baritono William Warfield (1920-2002), che riuscirono, con grande fatica, a cantare repertorio operistico nei teatri statunitensi, ma la prima cantante lirica nera ad avere un successo immenso negli Stati Uniti e all’estero è stata Price.

Nel 1961, al suo debutto al Metropolitan di New York nel ruolo di Leonora nel Trovatore, ebbe un’ovazione di 42 minuti. “Con il suo turbinìo di colori brillanti e il suo affascinante vibrato pieno di sfumature non ci voleva un esperto di voci per capire che al Met era arrivato un talento unico”, scrive il critico Peter Davis nel suo libro The American opera singer.

Price era arrivata a debuttare al Met dopo una bella carriera nei teatri europei. Aveva già cantato a Milano, Vienna, Salisburgo e Londra, dove c’erano meno pregiudizi nei confronti dei cantanti neri. Era stata già Aida alla Scala di Milano nel 1960 e Leonora all’opera di Roma; aveva cantato nella Missa solemnis di Beethoven a Salisburgo, diretta da Herbert von Karajan, che la conobbe nel 1955 a un’audizione e fu talmente colpito dalla sua voce da saltare sul palco per accompagnarla personalmente al pianoforte.

Quando arriva a New York, dunque, Leontyne Price è già una cantante famosa e apprezzata in Europa, ma quel debutto e quell’interminabile applauso la rendono una diva nel suo paese. Da quel momento in poi nei teatri statunitensi, proprio mentre avanzavano le istanze per i diritti civili dei neri, Leontyne Price può essere Tosca, Liù nella Turandot e donna Anna nel Don Giovanni. Il mondo sta cambiando rapidamente, ma Leontyne Price sa quanta fatica le sia costata essere considerata una protagonista della lirica nel suo paese. Debutta nell’opera proprio negli anni in cui un’altra grande artista nera, Nina Simone, capisce che non può diventare una pianista classica e decide di rispondere all’America razzista diventando la più fiammeggiante, rabbiosa e afrocentrica cantante soul di protesta degli anni sessanta.

Leontyne Price e André Previn, Right as the rain, 1967

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Se Price fosse rimasta in Europa avrebbe avuto una carriera diversa, forse più ricca di soddisfazioni artistiche e meno istituzionale, avrebbe cantato un repertorio più vasto, magari anche di musica contemporanea, ma lei riteneva politicamente e civilmente importante rimanere negli Stati Uniti. Jessye Norman (1945-2019), altro grande soprano afroamericano della generazione successiva, fece una scelta opposta: preferì lavorare per lo più in Francia, tanto che nel 1989 fu chiamata a cantare la Marsigliese per il bicentenario della presa della Bastiglia avvolta in un enorme tricolore francese.

Una proposta irricevibile
Quando nel 1966 a Leontyne Price, all’apice della fama americana, viene proposto dalla casa discografica un album di jazz pop lei all’inizio rifiuta. Per una cantante lirica bianca sarebbe stato un divertissement, un’occasione per fare soldi facili e allargare il proprio pubblico, ma per una cantante nera che aveva lottato per essere presa sul serio in teatro poteva sembrare un passo indietro. Peggio, una retrocessione al mondo degli standard e degli showtune che, tradizionalmente, appartenevano al repertorio di artiste nere come Lena Horne o Dorothy Dandridge, che erano apprezzate star del cinema e della canzone ma certo non erano state Aida alla Scala di Milano.

Non che il repertorio non le piacesse (da giovane era famosa per le sue imitazioni molto spiritose di Sarah Vaughan) o che non si fidasse di André Previn, il compositore e pianista che le propone il progetto, però le sembra una proposta inaccettabile. Lei si sta preparando a diventare quella che poi sarebbe diventata: la più grande cantante lirica americana della storia, quella che avrebbe cantato alla Casa Bianca per ben cinque presidenti degli Stati Uniti.

André Previn (1929-2019), pianista e compositore tedesco-americano, l’uomo che nella vita avrebbe sposato, tra le altre, Mia Farrow e la violinista Anne-Sophie Mutter, è il musicista giusto per proporre a un’artista come Leontyne Price un’operazione così azzardata. Ha i piedi in due mondi: uno nella musica colta (proprio nel 1967 diventa direttore della Houston symphony orchestra dopo sir John Barbirolli) e l’altro ben saldo a Hollywood, nelle colonne sonore e nella produzione di album jazz. Nel 1964 aveva vinto un Oscar per il suo riadattamento del musical My fair lady con Audrey Hepburn e Rex Harrison, e Dizzy Gillespie di lui aveva detto che aveva il flow del vero musicista jazz. Insomma, Previn conosce la musica sinfonica e l’opera, è un compositore e un apprezzato pianista e arrangiatore: chi se non lui può avvicinare l’altera Leontyne Price con la proposta di cantare vecchie canzoni di Broadway?

Price alla fine cede e Previn studia per lei un programma squisito, con scelte assolutamente non banali pensate per far emergere tutti i colori della sua voce, più che la sua potenza di soprano spinto che era già ben nota ai frequentatori dei teatri d’opera. Gli arrangiamenti di Previn sono talmente belli e variegati che potrebbero essere ascoltati anche senza voce: all’orchestra tradizionale unisce una scattante sezione ritmica jazz con piano (molto spesso suonato da lui), batteria e contrabbasso.

E poi c’è Leontyne Price, che è una cantante capace di abbracciare questo repertorio con grande intelligenza e laboriosa leggerezza: la sua voce enorme sa farsi piccola e duttile, ricca di sfumature e di finezze di fraseggio che fanno capire quanto, come artista, non fosse solo Tosca o Aida ma contenesse moltitudini di personaggi, anche quelli più spiritosi dei grandi musical del novecento.

Il programma si apre con Right as the rain (niente a che vedere con la canzone quasi omonima portata al successo da Adele nel 2008), tratta dal musical Bloomer girl di Harold Arlend che debuttò a Broadway nel 1944. Bloomer girl era la buffa storia di una ragazza moderna e indipendente che, alla vigilia della guerra di secessione, anziché indossare l’ampia crinolina preferiva i più comodi bloomer (una sorta di gonna-pantalone, simile agli abiti delle donne orientali). Evalina, la protagonista del musical, non era solo una protofemminista ma anche un’accesa sostenitrice dell’abolizione della schiavitù e cederà al suo ammiratore Jeff Calhoun solo a patto che liberi uno schiavo di nome Pompey. Right as the rain, “dritto come la pioggia che cade dall’alto, così vera e giusta come il nostro amore”, è proprio il duetto tra Evalina e Jeff. Quasi in punta di piedi Leontyne Price decide di partire con un rimando a un vecchio musical che parlava di guerra civile e di abolizionismo.

My melancholy baby invece è una vecchia canzone del 1912 e non uno showtune: Price la tratta come uno standard jazz accompagnata dal pianoforte di Previn e dalla sezione ritmica senza che arrivi mai l’orchestra. È l’unico pezzo propriamente jazz del programma e Leontyne Price appare assolutamente a suo agio. In A sleeping bee (altro grande pezzo di Harold Arlen) Price sfodera una voce piccola, agilissima e acuta, quasi da soubrette: è incredibile pensare che sia lo stesso strumento capace di riempire un teatro con la musica di Verdi o di Puccini.

They didn’t believe me, dal musical The girl from Utah di Jerome Kern (1914), è un’altra scelta notevole: è una delle prime canzoni di Broadway ad abbandonare la forma europea del passo di valzer per proporre una sorta di fox trot tipicamente americano. È anche una canzone che abbandona il linguaggio fiorito delle vecchie canzoni d’amore per fare spazio a una lingua parlata molto più fresca e moderna. Price la sceglie proprio per sottolineare quanto la musica afroamericana influenzasse i compositori di musical dei primi del novecento: ogni scelta di Previn e Price sembra voler comunicare qualcosa di culturalmente o storicamente rilevante al di là della bellezza e della facilità melodica dei pezzi.

Falling in love again (versione in inglese di Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt resa famosa da Marlene Dietrich nell’Angelo azzurro) vede un’altra trasformazione nella voce di Leontyne Price e nell’arrangiamento, ricco di cambi di registro, di André Previn. Price comincia a cantare la canzone in perfetto tedesco, con voce profonda e quasi maschile per poi finire in inglese su note più alte e carezzevoli. L’artista entra nel personaggio con studio e cura ma anche con leggerezza, ironia e genuino piacere.

Eppure, quando, nel 1996, si è trattato di riunire tutte le sue registrazioni in un cofanetto celebrativo intitolatoThe essential Leontyne Price, l’artista non ha voluto includere Right as the rain, che è a tutt’oggi un episodio isolato nella sua discografia interamente operistica. Evidentemente, a distanza di decenni, quella sua avventura nel repertorio pop (o nel crossover come si dice oggi) continuava a sembrarle un episodio marginale e non degno di essere ricordato tra le sue monumentali Tosche, Aide e Carmen. Right as the rain fa il suo ritorno discografico nel 2012 in un cofanetto a parte intitolato The complete collection of songs and spiritual albums, come a sottolineare ulteriormente l’alterità di quel repertorio all’interno della sua fulgida carriera operistica.

Leontyne Price e André Previn
Right as the rain
RcaVictor, 1967

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