27 settembre 2016 17:21

L’orlo del precipizio è una metafora sempre viva. E non parliamo del precipizio e del precipitare. Italo Calvino quasi sessant’anni fa ne cavò un’immagine molto efficace. Riguardava gli scrittori e la loro difficoltà crescente di fare romanzi sullo stato delle cose.

Thomas Mann – diceva Calvino – aveva capito quasi tutto sporgendosi da una ringhiera estrema dell’ottocento, mentre noi oggi guardiamo il mondo precipitando nella tromba delle scale. Parole del 1957, ma che durano. Il precipizio infatti non accenna a finire e forse non volano più giù soltanto gli scrittori. C’è un’altra figurina, di minori pretese, impegnata in una letteraria caduta a capofitto: di professione è spazzacamino. Sta in una vignetta citata da Nabokov nelle sue Lezioni di letteratura, e precipitando dall’ultimo piano trova il modo di notare in un’insegna un errore d’ortografia e di rammaricarsi che nessuno l’abbia ancora corretto.

La caduta dello spazzacamino integra il precipizio calviniano e riguarda un po’ tutti noi che continuiamo a volare giù per la tromba delle scale. Non solo abbiamo perso per sempre la ringhiera, non solo disperiamo di riguadagnare l’altezza, ma forse non abbiamo nemmeno più voglia di prendere nota d’alcunché, figuriamoci di un errore. È magnifica l’attenzione al dettaglio, ma a che serve, se non si trova il modo di interrompere la caduta?

Questa rubrica è stata pubblicata il 23 settembre 2016 a pagina 16 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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