25 dicembre 2016 16:00

Ci sono molti romanzi a fumetti che meritavano e uno appena uscito che è stato quasi sul punto di entrare nella cinquina, La favorita di Matthias Lehmann (001 edizioni) che può fare sotto certi aspetti da complemento a Patience di Daniel Clowes. Ma ormai la produzione è talmente alta, sul piano quantitativo che qualitativo, che la selezione è durissima.

Tra i grandi esclusi un titolo tuttavia sovrasta sugli altri: il ciclopico Perramus degli argentini Alberto Breccia e Juan Sasturain (496 pagine appena uscite per 001 edizioni) di cui in Italia arrivò solo una parte, negli anni ottanta. Tre volumi divenuti mitici nel corso del tempo, riuniti in un’unica graphic novel, tracciano un affresco del mondo contemporaneo, prima ancora che dell’Argentina degli anni ottanta.

Le tavole di Breccia sono di una straordinaria potenza visiva e narrativa, pittura in un bianco e nero espressionista raffinatissimo dalla grande complessità compositiva. Insieme alla narrazione di Sasturain, ci parlano dell’incombente apocalisse odierna che era già tutta scritta, e con profondità poetica e tanto sarcasmo disincantato illustrano un mondo che sembra già morto. Comunque gli autori forniscono anche degli antidoti a questa dimensione mortifera, isolandoli per meglio definirli.

Una scelta difficile
La cinquina dei migliori fumetti del 2016 è stilata sulla base di titoli inediti e di produzione recente. Sarà una mia fissazione, eppure sembra di ritrovare in tutti più o meno la medesima tematica. Come se gli autori più attenti sentissero l’aria di apocalisse e attraverso il recupero della dimensione umana e poetica, isolata per meglio evidenziarla, ci volessero fornire i loro antidoti.

La terra dei figli
Gipi, Coconino press/Fandango
Il finale di La terra dei figli di Gipi è ambivalente. Si recupera l’amore ma non si lascia intravedere alcuna linea d’orizzonte. Del resto l’opera è netta nel fondo: il senso della vita sta nel recuperare l’umano attraverso l’amore, alfine di recuperare una possibilità di destino (e destinazione) dell’umanità. E la ricerca del segno essenziale, è la ricerca dei segni della poesia, e quindi, ancora una volta, dell’umano.

Patience
Daniel Clowes, Bao publishing
Daniel Clowes con Patience realizza invece un viaggio nel tempo grazie a un’architettura narrativa complessa, sorprendente e originale, anche in termini di fluidità narrativa, all’interno dei singoli segmenti temporali, ricicla con troppa facilità elementi dei suoi precedenti lavori. Ma l’insieme del libro e la sua conclusione sono davvero potenti e originali nel dirci la medesima cosa di Gipi. Clowes non crea un mondo apocalittico e atemporale come Gipi, perché proietta in maniera tridimensionale l’America (s)perduta nella sua eterna ripetizione, trasfigurando tra l’altro la meccanica iterativa del fumetto popolare, quello più banale. Uccide il se stesso ossessivo e vendicativo, anche se è proprio quest’ultimo, paradosso temporale, umano e morale, ad aver salvato l’amore del se stesso ancora puro. Un capolavoro sulla nostra schizofrenia.

Sputa tre volte
Davide Reviati, Coconino press/Fandango
Tra Gipi e Clowes s’inseriscono Davide Reviati e Jiro Taniguchi, due maestri del bianco e nero minimale. Sputa tre volte di Reviati è un’opera limpida e potente su un mondo che non c’è più, l’Italia padana tra la fine degli anni settanta e i primi ottanta. Per ritrarla reinventa l’estetica più tradizionale e melensa dell’epoca, certi disegni che accompagnavano i romanzi d’avventura o amorosi pubblicati a puntate sulle testate popolari, con disegni in bianco e nero, stilizzati e dominati dalla sottrazione grafica, di grande finezza e profondamente ispirati. Tutto sembra finito ma la forza di quegli esseri evanescenti, siano reali o di fantasia, si rivela invece ben concreta, in primo luogo quelli della cultura rom con cui nel racconto si ritrova la piena osmosi con la dimensione dell’umano. Una bolla atemporale di denuncia dell’oggi.

I guardiani del Louvre
Jiro Taniguchi, Rizzoli Lizard
Jiro Taniguchi con I guardiani del Louvre, lavorando invece con i colori, al mondo contemporaneo oppone una bolla di poesia, unendo il mondo animistico giapponese con quello dell’arte europea, e francese in particolare: la bellezza isolata dagli artisti per meglio evidenziarla. La sua visita al Louvre dei fantasmi dell’arte è un viaggio spazio-temporale. Quando Taniguchi isola frammenti dei quadri di Corot, mettendoli in relazione con frammenti d’immagini giapponesi e delle sue stesse tavole, li respira e li fa respirare come fossero un grande tutto, raggiungendo la poesia profonda, quella più prossima al nostro intimo. L’autore di L’uomo che cammina realizza un nuovo capolavoro della contemplazione, guardando sia gli altri romanzi a fumetti realizzati in collaborazione con il museo parigino, sia ai film sul Louvre come quelli di Tsai Ming-liang o perfino di Alexander Sokurov. Riesce meglio di tutti. Nessuno prima era riuscito a far sentire e capire con semplicità. O ancora, raggiungere la profondità (e la complessità) nella semplicità.

Amore di lontano
Martoz, Canicola edizioni
Chiudiamo con il giovane Martoz (classe 1990) e il suo Amore di lontano. Guernica disegnato male proprio come il quadro originale di Picasso poteva sembrare un disegno fatto male? Parafrasando il celebre libro di Gipi, è la vita della civiltà umana disegnata male. Con echi rivendicati da I fiori blu di Queneau e dall’Amor de lonh di Jaufré Rudel, il trobadour innamorato di una contessa di Tripoli che morì nel 1148 (e la storia nella sua parte arcaica è ambientata tra 1147-1148), il cubismo surrealista di Martoz è bello come il Poema a fumetti, capolavoro di Dino Buzzati, con cui ha una prossimità nel far sentire come fosse reale il mondo dell’estetica stampata del fumetto, con i suoi odori e i suoi sapori, riconducendoli a qualcosa di dimenticato, ancestrale. Ma è anche bello anche come la migliore pop art del fumetto, come Guy Pellaert e la sua Jodelle. Come se Pellaert fosse stato un po’ rivisto da Buzzati, ma con colori più smorzati e minor ricerca di perfezione tecnica (almeno apparentemente). Si viaggia tra il mondo contemporaneo e quello antico, ma in fondo si tratta della stessa cosa: la parte storica è infatti situata tra Tripoli e Aleppo. La storia piccola è inceppata quanto quella antica, ma quest’ultima in fondo nella sua follia aveva almeno una grandiosità. Ma in qualche modo una forma di speranza c’è: i due mondi riescono a ricongiungersi. Ne viene fuori una strana storia di distorsione temporale, dove quasi ogni frammento è un micro viaggio alla scoperta delle invenzioni del segno da ricondurre al macro viaggio visivo generale. Ormai sono tanti i fumetti sperimentali di qualità, ma qualcosa del genere non si era mai visto prima.

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