22 aprile 2016 11:43

In un clima politico rovente per le polemiche quotidiane sull’immigrazione e sul Brennero, il 24 aprile gli austriaci sono chiamati alle urne per eleggere un nuovo presidente della repubblica. I sondaggi prevedono un vero e proprio terremoto politico: per la prima volta nel dopoguerra rimarranno esclusi dal ballottaggio i due partiti che hanno governato il paese per oltre mezzo secolo.

Per i popolari e i socialdemocratici, tutt’ora al governo, si profila una sconfitta rovinosa. Il sindacalista ed ex ministro socialista Rudolf Hundstorfer nei sondaggi è fermo al 15 per cento.

Il popolare tirolese Andreas Khol, ex presidente del parlamento viennese, sfiora appena un misero 11 per cento. Secondo i sondaggisti non hanno più nessuna possibilità di arrivare al ballottaggio del 22 maggio che deciderà il successore del presidente uscente, Heinz Fischer. Dietro a loro, con un magro 2 per cento, si trova solo l’eccentrico milionario Richard Lugner, che si candida per motivi pubblicitari e goliardici. Si tratta del costruttore ultraottantenne che nel 2011 ha invitato Ruby al famoso ballo dell’opera di Vienna.

In testa ai sondaggi con il 25 per cento c’è Alexander van der Bellen, ex capo dei Verdi, economista e professore universitario dai modi pacati. A un solo punto lo tallona Norbert Hofer della destra xenofoba e antieuropea. Hofer è un ingegnere aeronautico di 45 anni, sconosciuto ancora pochi mesi fa, che sta diffidando gli austriaci a votare Van der Bellen per non portare alla presidenza “un dittatore fascista”.

A pochi punti di distacco segue l’unica donna e l’unica indipendente tra i sei candidati. Irmgard Griss (69 anni), ex presidente della corte federale, è un’intellettuale liberale senza appartenenza politica. Conduce la sua campagna elettorale con pochi fondi confidando sul voto femminile, sugli indecisi e sugli elettori popolari delusi dal proprio candidato ormai spacciato. È sostenuta dall’ex capo dei popolari, Erhard Busek. Se riuscirà a entrare nel ballottaggio, la giurista con il voto dei moderati avrebbe ottime possibilità di insediarsi come presidente nella sontuosa residenza imperiale della Hofburg di Vienna, con i suoi tremila vani per secoli sede imponente degli imperatori austroungarici.

L’Austria ha vissuto troppo sulle glorie del passato e ora stenta a individuare un suo ruolo

Quelle di domenica quindi sono elezioni dall’esito aperto. Incerti i nomi dei due vincitori, ma già noti quelli degli sconfitti.

Saranno “i neri” e “i rossi”, come vengono comunemente chiamati in Austria. Ed è difficilmente immaginabile che la coalizione di governo del cancelliere Werner Faymann possa sopravvivere alla pesante sconfitta dei socialdemocratici e dei popolari. Due partiti logorati, da decenni al potere, che nei parlamenti regionali dei nove Länder hanno perso oltre cento seggi in pochi anni. Il loro disperato tentativo di conquistare voti a destra annunciando barriere sul Brennero è fallito e ha provocato severe critiche internazionali.

Pochi dubbi invece sui vincitori. Già da un anno il Partito della libertà austriaco (Fpö) è nettamente in testa ai sondaggi con il 34 per cento. Il suo leader è il 46enne Heinz Christian Strache, populista di destra antieuropeo e xenofobo (”Vienna non deve diventare Istanbul”). Strache, che chiede l’autodeterminazione per l’Alto Adige, era molto legato al nazista Norbert Burger, condannato in Italia all’ergastolo per gli attentati degli anni sessanta e morto nel 1992 in Austria. Alleato di Matteo Salvini e Marine Le Pen, Strache definisce Putin come “un democratico puro”, si scaglia contro la “lobby dei gay” e provoca con slogan provocanti come “I nuovi ebrei siamo noi”. Chiede “uno stop immediato e definitivo” all’arrivo di stranieri nel paese alpino dicendo: “Gli immigrati sono la causa della disoccupazione e della criminalità dilagante”.

Voglia di rimozione

In Austria il presidente federale non ha molti poteri, ma gli spetta la nomina del cancelliere e dei ministri. E il verde Van der Bellen ha già annunciato la sua intenzione di negare l’incarico a Strache se fosse eletto. Le elezioni politiche sono previste solo nel 2018. Ma dopo la delegittimazione dei due partiti maggiori è probabile che siano anticipate al prossimo autunno. Per i socialdemocratici e i popolari sarà la resa dei conti definitiva.

L’Austria è in una situazione poco invidiabile. È un paese piccolo, con meno abitanti della Lombardia e confinante con otto stati, due dei quali non appartengono all’Unione europea. Si trova nel cuore dell’Europa in una posizione strategica perfettamente all’incrocio tra nord e sud, est e ovest. Un paese tormentato e diviso che ha vissuto troppo sulle glorie del passato e che ora stenta a individuare un suo ruolo.

È un paese angosciato che diffida del proprio futuro. E che sta per rimuovere la sua secolare storia multietnica per proteggersi con una barriera di filo spinato, che fa sbiadire sempre di più l’immagine affascinante della Vienna poliglotta di Klimt, Schiele, Canetti, Kraus e Schönberg. E del medico viennese Sigmund Freud, che della rimozione ha fatto uno dei suoi argomenti preferiti.

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