18 febbraio 2016 11:22

Negli stessi giorni in cui la ministra Stefania Giannini si complimentava su Twitter per i risultati ottenuti dai ricercatori italiani nel mondo, il presidente del consiglio italiano si faceva notare per il grave e prolungato silenzio (tranne qualche dichiarazione di circostanza) sulla vicenda di un altro giovane studioso italiano all’estero, Giulio Regeni, rapito, torturato e ucciso in Egitto.

Probabilmente la ragione di questo silenzio sta nei 5,7 miliardi di dollari di interscambio tra i due paesi nel 2014 (una cifra che Egitto e Italia hanno dichiarato di voler portare a sei miliardi entro il 2016 e che nel 2013 comprendeva 17 milioni di euro di esportazioni di materiale di armamento italiano); la ragione sta nel primo posto dell’Italia come destinazione delle esportazioni egiziane (il 9,6 per cento del totale nel 2014); sta nella presenza di Eni, Enel, Edison, Ansaldo, Banca Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi e altre 123 aziende italiane in Egitto; la ragione sta nel giacimento di gas naturale (il più grande del Mediterraneo) scoperto dall’Eni nell’agosto 2015 al largo delle coste egiziane; sta nel via vai di ministri e viceministri italiani che, accompagnati da amministratori delegati e imprenditori, vanno spesso e volentieri in Egitto per firmare accordi e stringere rapporti; sta nel viaggio di Matteo Renzi nel giugno del 2014, primo leader occidentale a far visita ad Al Sisi dopo le elezioni presidenziali egiziane vinte con il 97 per cento dei voti; la ragione sta nelle parole dello stesso Renzi, che nel luglio del 2015 in un’intervista ad Al Jazeera ha definito Al Sisi “a great leader” e si è detto “proud”, orgoglioso, dell’amicizia con il presidente egiziano.

E se è vero che per l’Italia i rapporti con l’Egitto sono molto importanti, è anche vero che proprio per questo, e per il peso che l’Italia ha nell’economia egiziana, Renzi potrebbe far sentire la sua voce quando si tratta di diritti umani. Che non l’abbia fatto mentre il regime egiziano massacrava migliaia di oppositori era già un fatto gravissimo; che non lo faccia neanche ora che un cittadino italiano è stato ucciso lo rende complice.

Questa rubrica è stata pubblicata il 19 febbraio 2016 a pagina 7 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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