01 ottobre 2016 17:01

Didier Fassin, Quando i corpi ricordano
Argo, 366 pagine, 24 euro

Nel 1990 in Sudafrica le persone sieropositive non superavano l’1 per cento della popolazione. Dieci anni dopo la percentuale era decuplicata, e si stimava che il 40 per cento degli individui tra i 15 e i 49 anni sarebbero morti di aids. Il paese era diventato il più colpito da questa malattia. Per affrontare l’emergenza il presidente Thabo Mbeki convocò un comitato di esperti di cui facevano parte, oltre a specialisti riconosciuti, anche studiosi che negavano la relazione tra il virus dell’hiv e la malattia. Si aprì così una polemica feroce anche a causa della quale si finì per impedire la diffusione dei farmaci retrovirali attraverso il servizio sanitario nazionale.

Didier Fassin, sociologo e antropologo francese, avviò in Sudafrica una ricerca che avrebbe rivelato il groviglio di sentimenti e di memorie prodotto da quella epidemia. In Sudafrica la violenza segregazionista si era manifestata anche nella sfera medica: erano state sperimentate guerre biologiche contro la popolazione nera. Con queste ferite ancora aperte dopo la fine dell’apartheid, l’aids, malattia particolarmente diffusa tra la popolazione nera, era percepita come un complotto razzista orchestrato dall’occidente. Questo libro complesso fatto di spunti teorici e storie vissute racconta i frutti di un’inchiesta appassionata ed esemplare.

\Questa rubrica è stata pubblicata il 23 settembre 2016 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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