08 novembre 2014 15:00

Da quando, i primi di ottobre, David Lynch ha annunciato via Twitter il ritorno di Twin Peaks, mi sono trovato davanti a un bivio: precipitarmi nel più vicino centro di crioconservazione e chiedere di essere ibernato fino ai primi mesi del 2016, oppure impiegare in qualche modo fruttuoso il prossimo anno e mezzo. Alternative non mi pare che ce ne siano, anche perché il libro di Mark Frost dove si saprà quel che è successo ai personaggi della serie negli ultimi vent’anni, The secret lives of Twin Peaks, sarà pubblicato da Flatiron Books solo nell’autunno del 2015.

Direte voi: prova ad ammazzare il tempo con altre serie, non star lì a fissarti, aspetta la prossima stagione di True detective o di Les revenants, tutte cose che senza Twin Peaks non esisterebbero neppure. Ed è vero, ma è proprio qui il problema. Di True detective (che pure mi aveva conquistato) mi sono già quasi dimenticato, nonostante tutta la sua mercanzia esposta bene in vista di esistenzialismo querulo e di piani-sequenza. Les revenants ho appena finito di vederla e già mi è uscita dalla testa. Perfino Lost, per restare nella famiglia delle cose-che-non-esisterebbero-neppure, è ormai un ricordo sbiadito. Ma Twin Peaks no, è sempre lì, il nano vestito di rosso continua a ballare nella mia mente, e una ragione ci sarà.

Così, nell’attesa, ho scelto di fare quel che ogni buon bibliomane idolatra dedito allo tsundoku fa in questi casi: innalzare una pila votiva.

David Lynch, Mark Frost, Richard Saul Wurman, Welcome to Twin Peaks. Access guide to the town (Pocket Books 1991)
Dodici anni prima di Molvanîa, Lynch e Frost avevano inventato il genere della guida turistica a un luogo inesistente, che parodizza in ogni dettaglio le guide reali. C’era la mappa, l’excursus storico, la descrizione della flora e della fauna, le attrazioni, i musei, i luoghi d’interesse, i posti dove alloggiare, le ricette tipiche, gli eventi annuali, la copertina della gazzetta locale e perfino un piccolo prospetto delle religioni praticate nella cittadina di Twin Peaks. Apprendiamo così l’esistenza di una Twin Peaks Theosophist Society la cui missione è la rivelazione dei principi divini e delle cause prime. La guida informa che ne ha fatto parte la Log lady, per il pubblico italiano meglio nota come signora Ceppo. S’impone quindi la lettura di Isis unveiled (1877) nonché uno studio comparato sulla signora Ceppo e madame Blavatsky. Sei mesi buoni di attesa potrò consumarli così.

Marisa C. Hayes e Franck Boulègue (a cura di), Fan phenomena: Twin Peaks (Intellect Books 2013)
Un libro scritto da fan e per fan, pubblicato non a caso nella collana Fan phenomena. Non me la sento di consigliarlo, se non come inventario illustrato di quel che è nato intorno alla serie nei vent’anni seguiti alla sua messa in onda. Ed è nato un po’ di tutto – locali, negozi, gadget, linee di moda, installazioni d’arte, senza contare la miriade di omaggi e citazioni qua e là, tra i Simpson e X-Files. In particolare, ho messo gli occhi sulla Barbie di Laura Palmer, avvolta nella plastica e autografata da Sheryl Lee, e sul videogame Black Lodge 2600, che riproduce in stile Atari la Loggia nera, con i suoi pesanti tendaggi rossi e il suo pavimento bianco e nero a zigzag (giocando con quest’ultimo si può ammazzare qualche settimana). Nell’introduzione è citata un’intervista a Damon Lindelof, uno dei creatori di Lost, che racconta di quando con il padre videoregistrava le puntate di Twin Peaks e poi le rivedeva fotogramma per fotogramma, in cerca di indizi: “The idea of a tv show being a mystery and a game that spawned hundreds of theories obviously was a major precedent – that’s a fancy way of saying we ripped it off – for Lost”. Questo ci porta dritti dritti al prossimo libro.

David Lavery (a cura di), Full of secrets. Critical approaches to Twin Peaks (Wayne State University Press 1995)
Di studi su Twin Peaks ne sono usciti un po’ (neppure moltissimi, a dire il vero) ma questo è uno dei pochi che aiuta a capirne davvero qualcosa. È stato scritto vent’anni fa, e proprio per questo non è a rischio di illusioni retrospettive: descrivendo le novità di Twin Peaks sembra parlare delle serie tv di quindici anni dopo, è vero, ma lo fa in un momento in cui Lost e le altre non erano neppure immaginabili. Parla dei primi tentativi di quello che poi sarà chiamato transmedia storytelling, descrive un nuovo tipo di spettatore che senza vhs (poi senza dvd) impazzirebbe, studia la nascita delle comunità di interpreti talmudici e ossessivi. In questo è fondamentale il capitolo di Henry Jenkins “‘Do you enjoy making the rest of us feel stupid?’: alt.tv.twinpeaks, the trickster author, and viewer mastery”, che analizza i commenti degli utenti di un gruppo di discussione online, alt.tv.twinpeaks, scritti nell’autunno del 1990, mentre era in corso la seconda stagione. Ne emerge l’immagine gnosticheggiante di Lynch come un demiurgo dispettoso. Il libro ha una specie di seguito, Twin Peaks in the rearview mirror, che però ho scoperto solo oggi. Altro buon ammazza-tempo.

Charles Wisdom Hely, From the Black lodge to Carcosa: the popularization of the eleusinian mysteries (H.C.E. Press 2014)
Dimenticate i libri precedenti e correte a cercare questo, che li vale tutti. L’autore, allievo dell’indologa Wendy Doniger, sostiene che Twin Peaks è una rivisitazione moderna della tradizione dei racconti misterici, inaugurata in occidente da Apuleio, ma fa riferimento soprattutto a testi indiani. Rintraccia filologicamente le fonti della mitologia di Twin Peaks – lo sciamanesimo amerindio, i Veda, la gnosi valentiniana, i sogni lucidi tibetani, alcune varianti buddiste dell’idea del mondo stesso come sogno – e ipotizza la presenza di una “corrente eleusina” nel cinema e nella serialità televisiva, che ha i suoi antenati più diretti nella fantascienza degli anni cinquanta. Si tratta di storie che ruotano intorno non già a un enigma da svelare ma a un luogo iniziatico di cui accertare la natura (la Loggia nera di Twin Peaks, l’isola di Lost, la Carcosa di True detective), un luogo dove l’eroe – e con lui lo spettatore – può salvarsi o perdersi, a seconda dell’animo con cui si dispone ad attraversarlo.

Il libro è molto bello e illuminante, ma ha un piccolo problema: non esiste. Quasi quasi lo scrivo per ammazzare il tempo in attesa del 2016.

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