17 giugno 2016 16:44

Gli esponenti del Movimento 5 stelle fanno spesso riferimento alle vittorie di Manuela Carmena e di Ada Colau alle amministrative di Madrid e Barcellona nel maggio del 2015. Le due sindache spagnole sono prese come esempio e fonte di ispirazione perché entrambe erano appoggiate da Podemos, il partito nato dal malcontento verso i partiti tradizionali, contro la corruzione e l’austerità. Ma il paragone finisce qui.

“Il modo in cui sono nati Podemos e l’M5s rende diversissime le esperienze politiche della Spagna e dell’Italia”, dice Pablo Simón, che insegna scienze politiche all’università Carlos III di Madrid. “Podemos nasce da un grande movimento di popolo, quello degli indignados”. Le persone che si erano accampate alla puerta del Sol di Madrid e in altre città spagnole nella primavera del 2010 hanno continuato per anni a lavorare sul territorio, organizzando assemblee, bilanci partecipati, microcrediti, occupazioni per evitare gli sfratti, interventi nelle sedi istituzionali. Solo in seguito, una parte di questo movimento ha deciso di entrare in politica, ha convocato un congresso e si è data una struttura di partito, trasparente e orgogliosa. “Pablo Iglesias e gli altri fondatori di Podemos si sono resi conto di non avere abbastanza tempo per preparare candidature valide e quindi hanno scelto di unire le forze con collettivi ma anche con altri partiti preesistenti”.

Si è formata così una miriade di piattaforme. Quella della capitale si chiama Ahora Madrid ed è composta da Podemos, dai repubblicani ed ex comunisti di Izquierda Unida, da Ganemos – che fa base in uno storico centro sociale occupato, il Patio maravillas – e dagli ecologisti di Equo. Barcelona en comú ha più o meno la stessa composizione, con l’aggiunta di un moderato indipendentismo catalano e della Plataforma para los afectados de la hipoteca (Pah, l’associazione per la difesa delle vittime dei mutui). Le piattaforme scelgono candidati sindaco radicati sul territorio, individuati e sostenuti da un capillare movimento dal basso.

Le parole chiare e semplici di Ada Colau

Davanti alla commissione parlamentare che discuteva una legge sulle morosità dei mutui, circondata da uomini di una certa età in completo scuro, Ada Colau esordì dicendo: “Che sia chiaro che io non sono una persona importante. Non sono mai stata presidente di niente. L’unica ragione per cui sono qui è che al momento sono la faccia visibile di un movimento di cittadini che infiamma il paese”.

Era il 5 febbraio 2013 e il video di quell’intervento diventò subito virale. Quando due anni più tardi si preparavano le amministrative a Barcellona, nessuno aveva dubbi che quell’attivista dalla parola chiara e semplice, fondatrice della più grande organizzazione non governativa per la difesa delle vittime dei mutui (Pah), si sarebbe candidata. Colau era così conosciuta nei palazzi e benvoluta nelle strade che a Barcellona tutti davano per scontato che avrebbe corso alla carica di sindaco.

Proprio perché espressione di partiti e collettivi della sinistra radicale, i programmi di Carmena e Colau sono pienamente di sinistra

Anche se le sue prime parole davanti ai deputati possono ricordare lo scherno e la diffidenza dei cinquestelle per i politici di professione, il loro continuo definirsi cittadini portavoce, “la storia e il profilo di Colau non hanno nulla a che spartire con i grillini. Lei è una politica a tutto tondo e non se ne vergogna affatto”, spiega Enric González, per molti anni corrispondente di El País da Roma e ora cronista di El Mundo proprio da Barcellona, la sua città.

Colau non è stata scelta online e paracadutata, ignara, in campagna elettorale. Prosegue González: “La sua candidatura è solida e viene da una lunga militanza. Poi per un anno ha incontrato comitati cittadini e cittadini senza comitati, amministratori, sindacalisti, esperti e analisti. Non è un’antisistema anche perché ha scelto una squadra di professionisti, per esempio il direttore generale è un ex dirigente del Partito socialista catalano, già presente nelle giunte precedenti”.

Per ora, Colau osserva la politica nazionale e catalana dalla confortevole seconda città del paese, un milione e mezzo di abitanti e appena cento chilometri quadrati di estensione, con i conti in regola, una buona reputazione internazionale e l’economia in ripresa. “La sua popolarità è alta: se si presentasse alle prossime elezioni della Generalitat, vincerebbe a mani basse”, è sicuro González.

Manuela Carmena incontra i sostenitori a Madrid dopo i risultati delle elezioni amministrative, il 24 maggio 2015. (Jordi Vidal, NurPhoto/Getty Images)

Carmena è la storia democratica della Spagna

La nascita del “fenomeno Carmena”, come lo definisce da Madrid un altro giornalista e scrittore di lungo corso, Ramón Lobo, è tutta un’altra storia. Anche se la sua piazza più simbolica e centrale, cuore geometrico dell’intera Spagna, aveva ospitato il più grande movimento di protesta cittadina dai tempi della transizione, Madrid non aveva una persona conosciuta e allenata da presentare alla guida di Ahora Madrid. “È stato Juan Carlos Monedero a rispolverare quella giudice di 71 anni che ha fatto la storia democratica di questo paese, di buon senso e idee chiare, pacata nella forma di esprimersi ma energica nel pensiero e nei contenuti”, ricorda Lobo, che ha scritto un libro su Monedero, 50 anni, cofondatore di Podemos, professore di scienze politiche all’università Complutense di Madrid.

Dopo molte insistenze Carmena ha accettato la sfida. La sua campagna è stata rapida ma combattuta palmo a palmo in una città di 600 chilometri quadrati, con oltre tre milioni di abitanti, indebitata fino al collo, prostrata dalla crisi economica e dai tanti casi di corruzione della sua sempiterna amministrazione conservatrice. Ex comunista, ex giudice, ex componente del consiglio superiore della magistratura, nei mesi complicati che seguirono la morte di Francisco Franco, Carmena aveva aperto un ufficio insieme ad altri giovani avvocati del lavoro dove, nel febbraio del 1977, fecero irruzione alcuni militanti di estrema destra: cinque avvocati e attivisti di sinistra furono uccisi; Carmena si salvò solo perché all’ultimo le avevano spostato un appuntamento.

Entrambe, Colau e Carmena, non hanno vinto in numeri assoluti, ma con maggioranze relative. Carmena ha una giunta tutta scelta all’interno di Ahora Madrid, ma ha ricevuto l’investitura a sindaco solo grazie all’appoggio esterno del Psoe, con cui quindi deve mediare su ogni provvedimento. A Barcellona invece, i socialisti sono anche entrati in giunta.

Il fatto che sia Carmena sia Colau siano espressione di una rete e non di un solo partito ha due conseguenze molto pratiche che, ancora una volta, smentiscono il parallelismo con le candidate italiane dell’M5s. Prima di tutto, le alcaldesas sono del tutto indipendenti da Podemos (“devono rendere conto a un vivaio di movimenti civici, non ai vertici di un partito”, sintetizza Lobo). Secondo, proprio perché espressione di partiti e collettivi della sinistra radicale, i programmi di Carmena e Colau sono pienamente di sinistra.

Nessun codice di comportamento

Carmena ha speso molte energie per prendere le distanze da Podemos e per schernirsi dai complimenti di Pablo Iglesias: “Non ho nessun vincolo organico con Podemos”, ripete, e precisa: “Sono assolutamente indipendente”. È talmente autonoma da aver subito scelto di non rispettare un caposaldo dell’ideologia del partito, quello di sanzionare le banche che ordinano gli sfratti di chi non paga le rate del mutuo: Carmena ha scelto, piuttosto, di mediare. Tanto è autonoma da aver criticato duramente la linea seguita da Iglesias e compagni nello stallo successivo al voto del 20 dicembre 2015: per cercare di dare un governo al paese, lei si sarebbe seduta a negoziare anche con Ciudadanos, giovane formazione di centrodestra.

Poche settimane prima, durante la campagna per le legislative, Iglesias aveva provato a usare come bandiera anche la sindaca di Barcellona. Colau ha retto il gioco un po’ fredda, fino a smarcarsi del tutto in un libro-intervista uscito in marzo:

Non parlo quasi mai con Pablo. C’è una relazione di simpatia, certo, non abbiamo nessun problema personale, ma nemmeno un’affinità speciale, seguiamo linee molto diverse. Inoltre, non mi trovo in sintonia con un certo stile di Pablo e dello zoccolo duro di Podemos. È una differenza di stile, personale e politica. Forse troppo arrogante. Comunque Barcelona en comú non è Podemos. Non lo è mai stata.

Sono frasi impensabili sulla bocca di qualsiasi cittadino eletto nelle file del movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, “caratterizzato da un verticismo inesistente nella storia di Podemos e nell’organizzazione che si dà sul territorio”, chiosa González. Raggi ha firmato un codice di comportamento che stabilisce che le nomine dei collaboratori e le iniziative di alta amministrazione “dovranno essere preventivamente approvate a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 stelle”. Un accordo pre-mandato più simile a un commissariamento che a uno statuto etico. Chiara Appendino, candidata a Torino, non ha firmato nulla e sembra avere la briglia più sciolta. Eppure, la vicenda del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, tra le altre, dimostra che chi fa troppo di testa sua si condanna alla sospensione, all’espulsione, alla sconfessione.

Posizione chiara (a sinistra)

La sociologa Belén Barreiro osserva i movimenti che hanno portato Colau e Carmena alla guida delle due principali città del paese da quando hanno cominciato a organizzare assemblee nei quartieri, a riempire le piazze e a fare impazzire i social network. È stata tra le prime a predire che l’irruzione sulla scena politica degli indignados avrebbe sconquassato l’ingessato bipolarismo spagnolo. Ora spiega: “Dopo la crisi economica è cambiato il campo da gioco: il dibattito tra destra e sinistra ha lasciato spazio a quello tra cittadini comuni e casta”.

Ma a differenza di quello italiano che è trasversale sia nei programmi sia nel consenso, i movimenti spagnoli “hanno occupato la sedia a sinistra del Psoe”. Il coro della puerta del Sol è entrato nei meccanismi di rappresentanza politica per dare voce a una parte di società radicalmente di sinistra e non a un malcontento generico verso i partiti tradizionali e la casta. “Credo che l’M5s raccolga ragioni qualunquiste di avversione alla politica che Podemos non presenta”, riflette Enric González. Visto che si propone di vincere da solo, il movimento di Grillo deve allargare il suo bacino elettorale: “I cinquestelle mescolano da sempre motivi di sinistra (reddito di cittadinanza, risparmio del territorio) con motivi di destra (uscita dall’euro e dall’Unione europea, contatti con Farage, gestione drastica dell’immigrazione). Lo fanno sia per mancanza di cultura politica, sia perché hanno capito che ci sono frange di indignati da entrambe le parti. Le due candidate di Roma e Torino seguono la stessa linea, e per gli stessi motivi”, argomenta Raffaele Simone, professore di linguistica all’università Roma 3 e autore di numerosi saggi di analisi politica.

La scelta di Podemos di coalizzarsi sempre con ambientalisti, comunisti, collettivi di occupanti definisce priorità diverse: lo stop degli sfratti e degli sgomberi (e se proprio non si riesce a evitarli, l’immediata ricerca di una alternativa abitativa), la creazione di posti di lavoro, il principio che educazione e sanità devono essere pubbliche, così come i trasporti e la raccolta di immondizia, l’integrazione e l’accoglienza dei migranti.

Casa e immigrazione

In una recente intervista all’Espresso Virginia Raggi, candidata a Roma, dà mostra della tipica ambiguità del Movimento 5 stelle rispetto a due temi su cui le sue “ispiratrici” spagnole hanno invece le idee chiare: casa e immigrazione.

È giusto staccare la luce e l’acqua a chi occupa case?

L’acqua no, è un diritto di tutti e a tutti deve essere erogata. Sulla luce effettivamente una riflessione può essere fatta. Ma la vera questione è porre termine alle occupazioni abusive con programmi di reinserimento delle famiglie fuori dalle case del comune.

È giusto che il comune si occupi di accogliere gli immigrati, specie quelli transitanti?

Questo è previsto dalle norme, giusto o sbagliato che sia. Sarebbe giusto invece che il governo centrale si occupasse meglio di questo tema, decidendo chi deve essere compreso in un programma di inclusione e chi invece deve essere espulso. Invece ora i migranti vengono lasciati nelle città a ciondolare e basta.

Dal municipio di Madrid, un enorme palazzo bianco con guglie e torrette, pende uno striscione che annuncia “Benvenuti rifugiati”. Al numero 15 della via Fray Luis de León l’ufficio del comune per i mutui, che media tra le banche e chi non riesce a star dietro alle rate (presto sarà sostituita da un più generico “sportello casa”, per mediare tra proprietari e inquilini anche per affitti non pagati e occupazioni). Arrivata in municipio Colau ha multato le banche che firmano le ingiunzioni di sfratto; ha ricevuto la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini e il sindaco di Lesbo Spyros Galinòs, promettendo reciproco sostegno per l’accoglienza dei profughi.

Ingenuità e scivoloni

In realtà, entrambe le questioni sono competenza del governo nazionale. Due sindache possono fare ben poco. Tuttavia, puntualizza Lobo, “un politico è anche quello che dice. L’asse Carmena-Colau ha ribaltato la percezione sociale verso questi due temi. Se una persona viene cacciata di casa perché non riesce a pagare l’affitto ora raccoglie la solidarietà di tutti. Prima era considerata una vergogna”. “Barcellona, Madrid e gli altri ‘comuni del cambiamento’ hanno il merito di mantenere sul tavolo il tema dell’accoglienza, mentre il governo centrale è silente”, dice Simón.

Il politologo dell’università Carlos III sottolinea che il fatto di avere le idee chiare non ha comunque esonerato le due spagnole “dal commettere ingenuità e scivoloni”. Colau ha fatto rimuovere il busto di Juan Carlos dalla sala del consiglio comunale; Carmena ha stilato un elenco di strade intitolate a esponenti franchisti a cui si propone di cambiare il nome: “Iniziative a costo zero, che galvanizzano per il forte significato simbolico, ma senza ricadute pratiche”.

Nelle scelte quotidiane, entrambe affrontano le difficoltà di chi dalla piazza passa al palazzo: Colau è alle prese con una delicata mediazione tra cittadini infuriati per l’invasione turistica e associazioni di albergatori e strutture ricettive che chiedono invece di incentivarla. Carmena ha scelto “una squadra di giovani entusiasti ma totalmente ignari della macchina amministrativa e si trova davanti anche l’ostruzionismo di funzionari e dipendenti pubblici scelti in quarant’anni di gestione del Partito popolare”, spiega Simón.

Affinità elettive e priorità diverse, opposta disponibilità a coalizioni e alleanze, storia e metodo di selezione dei rappresentanti poco assimilabili. Il professor Simone tira le somme: “Mi pare che il richiamo delle due candidate del Movimento 5 stelle alle sindache spagnole sia improprio e un po’ usurpatorio. Ciò che le accomuna tutte e quattro, semmai, è l’inesperienza”, constata l’analista.

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