06 giugno 2013 11:25

La vecchiaia è un naufragio, quanto meno la sua. A 71 anni Umberto Bossi, il carismatico fondatore della Lega nord di cui è ormai solo presidente onorario, vede scomparire i suoi ultimi privilegi. Nell’aprile 2012 gli è stato tolto il controllo della sua “creatura”, quando i magistrati che indagavano sui conti del partito hanno scoperto che dei fondi destinati al partito finivano direttamente nelle tasche dei suoi parenti, mogli e figli. In occasione della sua ultima apparizione in un comizio, molti militanti avevano delle scope in mano. Bossi è andato via piangendo.

Ingrati! Appena qualche settimana prima quegli stessi militanti lo applaudivano, anche se non capivano niente dei suoi discorsi pronunciati con una voce incomprensibile a causa di un ictus che lo ha colpito nel 2004. Ma il vecchio capo li teneva ancora in pugno con il suo fascino. Quest’uomo che in estate andava in giro in canottiera, che fumava il sigaro nei luoghi pubblici e che imprecava contro “Roma ladrona” e “l’Europa che uccide le imprese ed è la porta aperta all’immigrazione”, era uguale a loro. “Ce l’ho duro!”, diceva.

Roberto Maroni, il suo braccio destro, ha preso il suo posto alla guida della Lega. E tutto è cambiato. Almeno in apparenza. Più giovane, più educato, questo ex ministro dell’interno ha voluto “debossizzare” il partito. Porta di rado la cravatta verde e ancora meno la camicia dello stesso colore e si limita a un più discreto fazzoletto da tasca. Preferisce Bruce Springsteen alle danze folcloristiche delle valli bergamasche. E ha restituito alla Lega una parte del denaro sottratto da un tesoriere poco scrupoloso. Ha promesso che “farà pulizia” fino in fondo.

La settimana scorsa Maroni è andato ancora più lontano. In cerca di risparmi per il partito, ha tolto al vecchio patriarca la dotazione di quasi un milione di euro all’anno che si era attribuito in passato per pagare la sua segreteria, i suoi autisti, le sue guardie del corpo e per finanziare la scuola privata di sua moglie, Manuela, dove si insegna la cultura della Padania e alla mensa si servono solo salsicce e polenta.

Nella sua villa di Gemonio (Varese), il vecchio Bossi ha giurato vendetta. Ai giornalisti che vanno a visitarlo promette di riprendersi il “suo” partito e che questo Maroni che ha cresciuto è “un traditore” e che non è un leader come lo era lui. In due interviste, il 31 maggio al Fatto Quotidiano e il 4 giugno a Repubblica, Bossi ha espresso tutta la sua rabbia: “Mi hanno tolto il mio autista e le guardie del corpo”, si lamenta. “Una volta qui fuori c’era sempre qualcuno a vigilare, ora può passare un pazzo e buttare una bomba in giardino”. Insomma, si sente solo e fragile.

Ma l’ipotesi che diventi un bersaglio sembra molto improbabile. Bossi ha semplicemente fatto il suo tempo e l’annuncio di un suo ritorno non avrà alcun effetto. Del resto si capisce che Maroni si trattiene per non reagire in modo più esplicito al rancore del suo vecchio capo. Probabilmente una forma si rispetto per il politico che è stato.

Ma per quanto Bossi si lamenti, la Lega nord – fenomeno politico degli ultimi vent’anni, che ha saputo tradurre (a volte in termini violenti) le aspirazioni dei piccoli artigiani e imprenditori dell’Italia settentrionale – è oggi in via di marginalizzazione, anche se dirige tre fra le più ricche regioni d’Italia (Lombardia, Veneto e Piemonte). Alle elezioni di febbraio i voti per la Lega si sono dimezzati e in occasione del secondo turno delle elezioni amministrative (domenica 9 e lunedì 10 giugno), potrebbe perdere anche il suo feudo di Treviso che ha dal 1994.

Traduzione di Andrea De Ritis

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