29 novembre 2016 19:00

1. Piers Faccini, Drone
Un po’ di allure mediorientale e ci si sente sospesi su un tappeto volante. Questo però è il suo bellicoso corrispettivo moderno, che si libra su scenari di guerra, bombe, vittime, e una ballata che suona dolce e romantica diventa una scheggia di specchio che riflette il suo tempo, e subito fa male. Ma cangiante è la natura di I dreamed an island, che a dispetto del titolo da crociera è un viaggio vero (e da capolavoro) del cantante anglo-franco-italiano, sospeso tra fonemi siculi, tunisini e britannici, assorbiti in movimento, cercando luoghi e tempi di pace.

2. Giulia Mazzoni, Ellis island
D’inverno a volte vien voglia di rifugiarsi su isole di puro trasporto melodico, l’equivalente musicale della Nuova Zelanda di Lezioni di piano. L’esercizio non manca, a questa pianista dell’85 uscita dal conservatorio milanese con il piglio pop dell’album Room 2401 (una camera d’albergo a Chicago, un’altra forma di isola). Senza dimenticare la lezione di Michael Nyman il quale, oggi quasi assente dopo un periodo di onnipresenza, si accomoda a duettare con lei in The departure. Un’eroina romantica applicata al pianoforte ci voleva.

3. His Clancyness, Isolation culture
In questo pezzo, che dà il titolo al nuovo album del canadese Jonathan Clancy, suoni e alienazioni rétro-glam derivate dal David Bowie più marziano avvolgono inquietudini del presente. Chi l’avrebbe mai detto, si rumina qui, che un pianeta così iperconnesso potesse generare un senso d’isolamento dal reale così forte? Di sicuro, questo feeling straniante percorre e fa vibrare l’intero lavoro: underground da Bologna sotterranea, manipolato tra Leeds e Bristol, svitato e sperimentale ma con disciplina brit. Che loro a isolarsi son maestri.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 novembre 2016 a pagina 96 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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