23 aprile 2015 18:30

Avengers: age of Ultron

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L’invasione degli Avengers nelle sale è compiuta. Non solo per il numero di copie in distribuzione e per i 141 minuti di durata di Age of Ultron, ma anche perché il dream team dei supereroi Marvel si arricchisce con nuovi personaggi. Si potrebbe parlare a lungo di loro, la Visione, Quicksilver, Scarlet, oltre che dei veterani Iron Man, Hulk, Capitan America, Thor e via dicendo. Ma lo spoiler, per chi non è cresciuto con i loro fumetti, è dietro l’angolo. Diciamo solo che ci mancherà Loki che veniva sbatacchiato come uno straccio bagnato da Hulk in una delle scene più gustose del capitolo precedente. E concluderei con il motto “Lunga vita a Tony Stark”.

Sarà il mio tipo?

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In Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux, Clément, un professore di filosofia giovane e soprattutto parigino, viene spedito per un anno a insegnare ad Arras, città del nord est, dalle parti di Lille. Clément vive questo incarico come una punizione. Poi però, ad Arras conosce Jennifer, una parrucchiera allegra, sorridente, energica e ottimista. Tra i due nasce una storia d’amore. Ma non si deve pensare a una commedia romantica né a un film di fantascienza. L’amore tra Clément e Jennifer non è la forza che tiene unita la galassia, ma un elemento di riflessione su un terreno molto scivoloso: la bella storia che vivono inizialmente Jennifer e Clément può resistere alle differenze sociali e culturali dei due?

Diciamo subito che Belvaux sembra avere una risposta precisa a questa domanda. Il gusto del film sta nel cogliere gli spunti che ci offre. Clément, con le sue citazioni di Kant e Zola, fa sul serio con la parrucchiera che legge rotocalchi e non è disposta a saltare un karaoke del venerdì per niente al mondo? Chi è l’ingenuo: Jennifer con la sua voglia di vivere o Clément che da intellettuale pensa di poter gestire ogni cosa, ma è schiavo della sua filosofia? Clément è un sorcio (come la maggior parte degli uomini) o è Jennifer che proprio non ci crede? Il film ha i suoi difetti. È lungo e a tratti un po’ schematico. E anche la scelta degli attori (tutti e due bravi, Loïc Corbery, preso in prestito dalla Comédie française, e Emilie Dequenne, la Rosetta dei fratelli Dardenne) sembra voler pilotare la nostra pietas. Ma, come succede con alcuni film sentimentali francesi, ha la forza di una lezione teorica su un argomento troppo spesso lasciato in balia del sentimentalismo (anche se Gloria Gaynor è un colpo basso).

Samba

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E forse un po’ di sentimento è proprio quello che manca a Samba, di Eric Toledano e Olivier Nakache. Sembra incredibile. Ma come? Gli autori di Quasi amici hanno fatto un film freddo e cinico? Naturalmente no. Il problema probabilmente è nella chimica tra i due protagonisti. Omar Sy interpreta Samba, un senegalese che vive a Parigi da dieci anni ma è a rischio di espulsione. Charlotte Gainsbourg è Alice, una donna in aspettativa al lavoro che si dedica al volontariato per rimettere insieme la sua vita. Tra i due nasce qualcosa, ma non è chiaro cosa sia. Forse i due autori hanno fatto di tutto per non sembrare sdolcinati, esagerando. Oltre a Charlotte Gainsbourg (che spesso è un buon motivo per vedere un film), c’è anche Tahar Rahim (Il profeta) in gran forma, protagonista dei passaggi più divertenti della pellicola. Mentre non convince pienamente, a parte un paio di scene corali, il tentativo di affrontare in modo originale una questione complessa come quella del mondo sommerso, del limbo in cui si trovano costretti a vivere i sans papiers di Francia.

Squola di Babele

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Seguendo il filo rosso dell’integrazione si segnala l’ottimo Squola di Babele di Julie Bertuccelli. Nonostante il fastidio che provoca a chi scrive dover comporre la parola scuola con la q, questo documentario su una “classe di accoglienza” dove devono passare i bambini di varie nazionalità per imparare il francese e accedere dunque alla scuola “normale”, è a dir poco commovente. Arrivati da luoghi diversi e per motivi diversi e spesso impensabili, bambini irlandesi, serbi, brasiliani, tunisini, cinesi e marocchini impartiscono una grande lezione su quello che ci perdiamo quando rifiutiamo di aprirci a culture e modi di pensare diversi dai nostri.

Short skin

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Su Short skin di Duccio Chiarini è bene rifarsi a quello che scrive Lee Marshall su Internazionale 1099: “Una commedia sensibile, graziosa, umana che riesce a resistere a quella forza di gravità che da qualche anno trascina la commedia all’italiana verso il basso”. Il film racconta la storia di “un ragazzo un po’ sfigato che soffre di fimosi (cioè ha il prepuzio troppo stretto)” ed è ambientato sul litorale pisano. In provincia quindi ma, sempre per citare Lee Marshall, è una commedia tutt’altro che provinciale.

Le Frise ignoranti

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In uscita anche I bambini sanno di Walter Veltroni (di cui scriverà Goffredo Fofi nei prossimi giorni), la commedia pugliese Le Frise ignoranti di Antonello De Leo e Pietro Loprieno, e infine il film fantastico Adeline. L’eterna giovinezza con Blake Lively e Harrison Ford.

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