18 giugno 2015 19:43

Teneramente folle

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Come scrive Stephanie Zacharek sul Village Voice, “Non c’è un modo giusto per raccontare la malattia mentale nei film”. Teneramente folle, esordio alla regia di Maya Forbes, non ha questa pretesa, è un film autobiografico, nel senso che Forbes (che ha scritto anche la sceneggiatura) si è ispirata alla sua esperienza di figlia di un uomo con un disturbo bipolare. Cameron, interpretato da Mark Ruffalo, dopo un esaurimento nervoso è costretto a separarsi dalla moglie Maggie (Zoe Saldana) e dalle due figlie. La famiglia se la passa male e così Maggie decide di prendere un master in economia, ma dovrà lasciare Boston per andare a studiare a New York. La soluzione è affidare le bambine al padre, che nel frattempo si è ripreso. Occuparsi delle due bambine è una grossa responsabilità per Cameron che allo stesso tempo è la persona ideale per farlo: non si preoccupa delle apparenze, in un’America (siamo alla fine degli anni settanta) in cui resistono ancora degli schemi sociali rigidi in cui a casa con i figli deve starci la madre.

Mark Ruffalo costruisce un personaggio meraviglioso. Zoe Saldana, dopo Star Trek e I guardiani della galassia, conferma di stare molto bene anche sulla Terra come già aveva dimostrato nel tragico Il fuoco della vendetta. Le due figlie della coppia Imogene Wolodarsky e Ashley Aufderheide sono perfette. Al di là delle implicazioni sulla vita accanto a un bipolare Teneramente folle (titolo un po’ dolciastro rispetto all’originale Infinitely polar bear, che gioca su un errore commesso da una delle due bambine che cerca di descrivere il problema del padre) sembra volerci ricordare e farci apprezzare il valore dell’anticonformismo che un mondo sempre più appiattito ci ha fatto dimenticare. In questo mi ha fatto pensare a un film del 1966 con un altro amabile mattacchione, Morgan, a suitable case for treatment (Morgan matto da legare il titolo in italiano) di Karel Reisz, con un irresistibile David Warner e una bellissima Vanessa Redgrave.

La regola del gioco

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Con La regola del gioco, di Michael Cuesta, ci spostiamo avanti di una ventina d’anni. Nel 1996 il giornalista del San Jose Mercury News, Gary Webb, pubblicò una serie di articoli in cui mise in relazione il boom del crack (quindi del traffico di cocaina) negli Stati Uniti all’inizio degli anni ottanta con il finanziamento dei contras del Nicaragua, i gruppi armati che combattevano il governo sandinista del paese, eletto democraticamente. Nei suoi articoli Webb arrivò a suggerire che la Cia non solo sapesse di questo legame, ma che fosse parte attiva del traffico, consentendo così all’amministrazione Reagan di finanziare una guerra che il congresso non si sognava di sostenere. Una storia intricata che da sola basterebbe a fare un film sul giornalismo d’inchiesta. Ma quello di Cuesta prende un’altra strada.

Negli Stati Uniti si discute ancora della solidità dell’inchiesta di Webb, anche se con il passare degli anni la sua tesi sembra sempre più plausibile. Cuesta, che si schiera dalla parte di Webb (che non a caso è interpretato da Jeremy Renner, grandissimo a interpretare eroi di basso profilo come l’Aaron Cross di Bourne legacy, il sergente William James di Hurt locker e in definitiva anche lo Hawkeye degli Avengers), realizza un thriller un po’ debole che però mostra come la Cia abbia insabbiato la vicenda colpendo l’anello più debole: lo stesso Webb, colpevole di avere “una macchia sul curriculum” e di lavorare in un piccolo giornale locale che non può vantare i lobbisti e gli abili cronisti politici di testate più prestigiose. Se come thriller è un po’ debole, La regola del gioco non ha neanche la forza di altri film sul giornalismo, ma rimane molto interessante.

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Il terzo film da vedere nel fine settimana è Diamante nero di Céline Sciamma. Il titolo originale Bande de filles (stranamente) rende meglio il senso del film: la storia dell’emancipazione di una ragazza nera che vive in una banlieue francese, grazie al suo sodalizio con una gang femminile. Non dobbiamo infatti aspettarci una discesa agli inferi tipo Spring breakers o Baise-moi. Il film di Sciamma è d’autore, lirico, costruito con arte pezzo per pezzo, sequenza per sequenza, dalla fotografia al montaggio, dalle interpretazioni alla colona sonora. Le parole della stessa regista che ha sezionato il suo lavoro in Anatomia di una scena rendono meglio l’idea.

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In uscita anche le commedie Fuga in tacchi a spillo con Reese Witherspoon e Torno indietro e cambio vita di Carlo Vanzina (con Raoul Bova e Ricky Memphis), il thriller Soundtrack di Francesca Marra, l’horror Unfriended di Levan Gabriadze… A voi la scelta.

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