31 maggio 2016 10:38

L’artista argentino Tomás Saraceno ha avuto la sua prima mostra a Milano nel 2006 all’Isola art center, un centro d’arte occupato, in un giardino che gli abitanti del quartiere avevano ricavato dai terreni di una fabbrica abbandonata. Il suo progetto, museo Aero solar, era un’enorme mongolfiera a energia solare fatta di nastro adesivo e sacchetti di plastica. Era stato realizzato per autofinanziamento da un gruppo di attivisti e volontari (c’ero anch’io) e dai bambini delle scuole della zona. Ha volato poco, ma ha volato.

Nel 2013 Saraceno aveva allestito un’altra mostra a Milano: all’HangarBicocca, un colossale spazio postindustriale che ospita un museo con una programmazione di livello internazionale. Lì Saraceno aveva costruito una superficie gonfiabile trasparente di oltre mille metri quadri, su cui i visitatori potevano aggirarsi in preda alla meraviglia, in sospensione, come in un racconto di Don Barthelme. La struttura era composta di una pellicola in materiale plastico prodotta dall’artista insieme al Massachusetts institute of technology e a Pirelli, che è anche proprietaria dell’Hangar Bicocca.

Cosa racconta questa storia?

Nel 2008 al Mayday parade eravamo in più di centomila. Quest’anno c’erano poche migliaia di persone

Nel 2012, un gruppo di lavoratori dell’arte ha occupato la torre Galfa, una torre di uffici vicino alla stazione Centrale di Milano, per farne uno spazio di cultura libera. Nonostante il grande sostegno popolare sono stati sgomberati, riuscendo però dopo un periodo d’incertezza a occupare un ex macello abbandonato dove oggi ha sede Macao, un nuovo centro per le arti, la cultura e la ricerca.

Nel 2015 ha aperto un’altra torre dedicata all’arte contemporanea, quella della fondazione Prada. Ha una programmazione unica in Europa per ricchezza e qualità; la mostra inaugurale è stata curata da Salvatore Settis. In base al progetto dello studio Oma, di Rem Koolhaas, la torre è ricoperta d’oro.

Cosa racconta questa storia?

Nel 2005, molti giovani artisti che si erano formati a Milano, usciti dall’accademia di Brera, trovavano la loro prima possibilità di confrontarsi con un contesto espositivo alla Stecca degli Artigiani, una ex industria occupata. È stata abbattuta nel 2007, per costruire i grattacieli del bosco verticale.

Nel 2014, molti giovani artisti che si erano formati a Milano, usciti dall’accademia di Brera e dall’ottima Nuova accademia di belle arti, istituto privato a proprietà statunitense, trovavano la loro prima possibilità di confrontarsi con un contesto espositivo da Gasconade e da Lucie Fontaine e da Peep-Hole, spazi non profit nati per iniziativa privata, e in tutte le gallerie commerciali – piccole, indipendenti, di livello internazionale – sorte nel frattempo, spesso all’interno della rivalutazione degli spazi industriali di Lambrate.

Per scrivere collettivamente un libro sulla loro esperienza, gli artisti della Stecca nel 2009 si trovavano a turno negli appartamenti di ognuno, o in spazi presi a prestito.

Per scrivere collettivamente un libro sulla loro esperienza, gli artisti di Gasconade si trovano regolarmente in uno spazio messo a loro disposizione dal Centro di ricerca Ask dell’Università commerciale Luigi Bocconi.

Cosa racconta questa storia?

Nel 2011, un gruppo di artisti e anarchici noto come Anonima Nuotatori ha occupato una piscina abbandonata per allestirvi delle mostre e degli studi d’artista, e uno spazio per performance all’aperto. Sono stati sgomberati poco dopo.

Oggi, quella piscina è stata acquistata dal vicino di casa, il teatro Franco Parenti fondato da Giovanni Testori, Andrée Ruth Shammah e Dante Isella. L’anno prossimo vi aprirà un nuovo spazio scenico in interni, e uno in esterni, e riaprirà la zona balneabile, come caso forse unico al mondo di piscina con teatro, o viceversa.

Cosa racconta questa storia?

Gran parte delle persone che hanno criticato l’Expo del 2015 si appresta a votare come sindaco l’uomo che ha reso possibile l’Expo

Nel 2001 è nata a Milano la Mayday parade, una manifestazione parallela che dava voce a soggetti e lotte non rappresentate tradizionalmente da quella del primo maggio – contro la precarietà, per i diritti dei migranti e delle persone lgbtq, per il reddito di cittadinanza. Già nel 2004 aveva ispirato manifestazioni simili in tutt’Europa, il che sembrava sintomatico di un rinnovamento nell’immaginario e nei metodi delle battaglie di sinistra. Nel 2008 in corteo eravamo in più di centomila.

Oggi – ci sono state la giunta Moratti e la giunta Pisapia – le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono permesse dalla legge. Il reddito di cittadinanza è una battaglia dei plutocrati della tecnologia in California, e della regione Lombardia governata da Roberto Maroni. Il centro di permanenza temporanea, poi centro di identificazione ed espulsione di via Corelli – uno degli esempi più vergognosi delle ingiustizie commesse dall’Italia contro i migranti – ha chiuso ed è diventato un centro di accoglienza. Alla Mayday del 2016 hanno partecipato poche migliaia di persone. Io ero a Torino.

Cosa racconta questa storia?

Tra meno di una settimana si voterà per il sindaco a Milano. Giuliano Pisapia è stato responsabile di cinque anni straordinari da ogni punto di vista – in parte per abilità politica sua e della sua squadra, in parte perché ha potuto ereditare i benefici di progetti di cui le giunte precedenti avevano pagato i costi. Però non si ricandiderà. Le primarie del centrosinistra organizzate per sostituirlo sono state vinte da Beppe Sala.

Gran parte delle persone che hanno criticato l’Expo del 2015 – trovandone sbagliate le premesse, o ipocrita il messaggio, o superficiale la realizzazione, una buffonata provinciale o tutt’al più un’occasione persa – si apprestano a votare come sindaco l’uomo che ha reso possibile Expo. Gran parte delle persone che hanno criticato la giunta di Letizia Moratti – l’assenza di un vero piano di sviluppo culturale, l’ossessione autoritaria per la sicurezza, l’idea del comune come cementificatore di lusso – si apprestano a votare come sindaco l’uomo che ha cominciato la sua carriera pubblica da city manager di Letizia Moratti.

Una vittoria e una perdita

Se votassi a Milano lo voterei anche io, che ho scritto contro Expo, che ho manifestato contro Moratti.

Dall’appartamento che un amico mi presta in questi giorni vedo le torri del bosco verticale, la nuova sede della regione che scherzando chiamavamo “el Formigun”, le spire scintillanti del grattacielo UniCredit, forse meno simili a quelle di New York che a quelle di Nairobi, eppure così belle in questo momento, in lontananza, a maggio, col sole che scende.

Penso a quanto dieci anni fa mi sia speso (manifestando, volantinando, scrivendo, parlando) per lottare contro quei progetti. Ero un gufo, un musone? Erano battaglie di retroguardia smentite dalla storia? Oppure è solo che l’esistente ha cancellato ogni possibilità di alternativa che avrebbe potuto sostituirlo, e la polvere e il rumore dei martelli pneumatici hanno coperto tanto a lungo il ricordo del bosco di Gioia da far apparire come un sollievo, una liberazione, l’arrivo delle townhouse per miliardari che lo hanno rimpiazzato? Non lo so.

Cosa raccontano queste storie?

Da un certo punto di vista, raccontano una vittoria: l’iniziativa privata a tutti i livelli ha dato alla città di Milano l’energia creativa e la dinamicità culturale che la caratterizzano e che ne hanno reso possibile l’attuale felicissima stagione. A Milano negli ultimi anni hanno aperto una quantità strabiliante di musei e fondazioni e imprese culturali, sono state tracciate decine di chilometri di piste ciclabili, sono stati aperti nuovi parchi.

Dall’altra parte, è la storia di una perdita: perché l’iniziativa privata si è inserita innanzitutto nell’assenza del soggetto pubblico, e l’arrivo dei grandi capitali ha portato all’obsolescenza delle realtà più piccole, al soffocamento delle differenze. A Milano negli ultimi anni sono stati sgomberati molti centri sociali, sono stati costruiti soprattutto appartamenti di lusso, e i parchi sono andati a rivestire parcheggi sotterranei in gestione privata. Nonostante il ruolo di avanguardia che ha svolto in tanti terreni, il tessuto controculturale della città è stato marginalizzato o eliminato del tutto.

Il più grande progetto che aspetta la prossima giunta – la ridestinazione degli scali ferroviari, decine di migliaia di metri quadri in centro, potenzialmente i parchi urbani più belli d’Italia, potenzialmente il patrimonio immobiliare più redditizio – sarà un buon banco di prova per valutare la durevolezza dei successi della città, la sua capacità di governare i processi di crescita perché siano inclusivi e si indirizzino al bene comune.

E quindi cosa raccontano queste storie? Non lo so. Sono le storie di Milano degli ultimi dieci anni, probabilmente la città-vetrina della gentrificazione, probabilmente la capitale culturale del paese, probabilmente la città più interessante dove vivere in Italia nel 2016. Io ci sono arrivato con la mia famiglia nel 1998 e me ne sono andato, da solo, nel 2009. A luglio tornerò.

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