13 ottobre 2011 00:00

La raffineria emette una lingua di fuoco perenne insieme a una colonna di fumo che, a seconda del vento, si posa su uno dei tanti quartieri dell’Avana. Negli anni più duri del periodo speciale la fiammella di questa ciminiera era il segnale più visibile della nostra rovina materiale.

Poi è arrivato Hugo Chávez e la fiamma è aumentata di pari passo con la dipendenza dal Venezuela. Il bisogno crescente di quest’importazione ha reso più fragile l’economia del paese e ha minato la nostra sovranità. Finora i pochi giacimenti di greggio del territorio nazionale davano un prodotto di bassa qualità con un’alta percentuale di zolfo. Ma questa situazione potrebbe cambiare.

Secondo gli esperti, nelle acque territoriali cubane del golfo del Messico ci potrebbero essere circa venti miliardi di barili di petrolio. La compagnia petrolifera Repsol Ypf ha cominciato i lavori di esplorazione, ma prima ha assicurato agli altri paesi dell’area che svolgerà le sue operazioni nel rispetto degli standard di sicurezza. Washington non perde di vista neanche per un attimo i movimenti della Repsol, anche per accertarsi che non infranga l’embargo economico imposto all’isola da più di cinquant’anni.

Il processo di esplorazione del giacimento è appena cominciato. Ma, se sarà possibile estrarre il tanto desiderato combustibile, forse eviteremo di doverci piegare ai disegni di un’altra potenza e gli autocrati stranieri non potranno ficcare il naso nella nostra politica nazionale.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 919, 14 ottobre 2011*

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