11 novembre 2013 15:40

Dieci errori che i giornalisti devono evitare quando parlano di persone lgbt. Uno al giorno, per dieci giorni.

  1. Coming out

  2. Immagini

  3. Lesbiche

  4. Mamma

  5. Mondo gay

  6. Relazioni

  7. Transessualità

  8. Famiglie gay

  9. Icona gay

  10. Parole

Quando parlano della mia famiglia come “famiglia gay” io li interrompo sempre: “Per il momento in casa gli unici sicuramente gay sono i papà. Sui figli non ci sono ancora notizie certe ma, anche se saranno etero, gli vorremo bene lo stesso”.

Sì, perché dire famiglia gay è abbastanza bizzarro. Quindi una famiglia con due madri cosa sarebbe, una famiglia lesbica?

Magari hanno un paio di figli grandi e grossi che dicono: “La mia famiglia è lesbica”. E poi allora ci sono anche le famiglie trans. No, guardate, io direi che bisogna restare sui genitori e parlare di famiglia omogenitoriale o, se preferite, famiglia con genitori gay, con due mamme, con due padri eccetera.

Purtroppo, però, temo che questa sia una battaglia persa. La cosiddetta famiglia gay è uno degli argomenti più dibattuti del momento e l’espressione usata è quasi sempre questa. Anche grazie a tutto il rumore provocato dalle dichiarazioni recenti di Guido Barilla, che ha inventato la famiglia del Mulino Bianco e quindi si considera un esperto in materia.

Ma stavolta sono colpevoli anche gli americani, sempre così corretti nelle loro espressioni, che in questo caso parlano continuamente di gay family.

Un’alternativa a omogenitorialità è omoparentalità: al contrario di quanto possano pensare alcuni, non descrive una famiglia con un’alta incidenza di nonni, zii e cugini gay, ma è semplicemente la parola che risente dell’influenza del francese, ma è comunque corretta anche in italiano.

Un’altra definizione che sta cominciando a diffondersi, e che personalmente mi piace molto, è “famiglie arcobaleno”. Il nome nasce dall’associazione italiana che riunisce i genitori e aspiranti genitori lgbt (e che anche in altri paesi si chiama nello stesso modo). C’è il riferimento alla bandiera arcobaleno del movimento per i diritti civili degli omosessuali e l’idea di una diversità che coesiste in armonia, come l’arcobaleno appunto.

L’unico inconveniente di questa definizione è che crea confusione con l’attivismo: se leggi qualcosa sulle famiglie arcobaleno potrebbe trattarsi di famiglie omogenitoriali oppure dell’associazione in modo più specifico. La soluzione potrebbe essere l’uso dell’iniziale maiuscola per indicare l’associazione.

Ma poi c’è il rovescio della medaglia. Come le chiamiamo le famiglie non omogenitoriali? Un nome va trovato perché comunque ne esiste ancora qualcuna in giro. Le alternative per ora sono famiglia tradizionale o la famiglia formata da uomo e donna.

Be’, la prima a me sembra davvero poco generosa. Nell’idea di famiglia tradizionale c’è questo alone di vecchio, un po’ ammuffito, che non fa assolutamente giustizia a una realtà sociale profondamente dinamica e in continuo mutamento.

Invece, la seconda – famiglia formata da uomo e donna – fa un po’ libro della Genesi ma comunque è corretta. Decisamente poco economica dal punto di vista giornalistico, ma corretta. E ovviamente piace molto al Vaticano.

In politica invece, soprattutto tra i conservatori, si sbandiera spesso la definizione “famiglia naturale”, sottolineando che è quella di cui parla anche l’articolo 29 della costituzione. Peccato però che l’articolo 29, parlando semplicemente di “società naturale che si fonda sul matrimonio” lasci le porte aperte, anzi spalancate, a un’interpretazione più moderna che includa le famiglie omogenitoriali.

Il fatto è che una definizione va ancora inventata e che per ora quella che non è omoparentale si chiama solamente famiglia. Quello che mi domando è se stia per nascere la temibile etichetta di famiglia etero, con buona pace di tutti i figli e le figlie gay che in quelle famiglie ci nascono, oppure se prima riusciremo a far cadere le etichette e a parlare di famiglia e basta, senza troppe specificazioni sull’orientamento sessuale dei genitori.

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