21 marzo 2014 14:35

Lunedì scorso una mia amica scozzese ha postato su Facebook un link a un articolo della Bbc intitolato “Venezia vota sulla secessione da Roma”. Sono rimasto di stucco. Perché non ne avevo sentito parlare in Italia? Comincio a leggere l’articolo.

Mi informa che nel Veneto (quindi non solo a Venezia) è in corso un referendum, organizzato da “attivisti e partiti locali”, per chiedere la formazione di una repubblica indipendente. Dice anche che, “secondo dei sondaggi recenti, i due terzi di un elettorato di quattro milioni di persone sono a favore dell’indipendenza”. Indago e scopro che uno dei primi a lanciare la notizia sui mezzi d’informazione anglosassoni, forse il primo, è stato il mio collega Nick Squires

sul Daily Telegraph. Oltre alla Bbc, la notizia è stata poi riportata dal Times, il Daily Mail, l’Independent on Sunday e perfino dalla tv russa, che in un servizio che sconfina nella commedia la sfrutta come giustificazione per la validità del referendum sulla secessione della Crimea.

Sulla stampa italiana, invece, poco o niente. Cerco invano sui siti dei maggiori quotidiani, poi faccio una ricerca sulla stampa locale del Veneto. Sul Gazzettino penso di aver scorto una traccia promettente, ma si tratta di un referendum per la fusione dei comuni di Villorba e Povegliano. Poi, finalmente, su La Nuova Venezia, trovo una notizia curiosa, datata 15 marzo e relegata nelle pagine di cronaca:

“Manifestazione ieri alle 15 vicino a palazzo Ducale per una decina di indipendentisti veneti che plaudivano al referendum indetto in Crimea. Una manifestazione organizzata con bandiere a favore di Ntv, la tv nazionale russa che in questi giorni ha una troupe a Venezia per confezionare servizi sulla voglia veneta di staccarsi dall’Europa. Tutto inizia quando i giornalisti russi scoprono che Federico Caner, capogruppo della Lega nord in consiglio regionale, ha detto che il referendum in programma in Crimea, per staccarsi dall’Ucraina, è sacrosanto e che anche il Veneto deve seguire la strada indipendentista. Sempre seguendo le tracce indipendentiste i russi scoprono uno dei tanti gruppetti che inneggiano alla secessione. Detto e fatto, ecco la manifestazione. Una decina di partecipanti, tra cui anche Raffaele Serafini, che venne condannato per aver diffamato il presidente Luca Zaia. I manifestanti sono stati portati in caserma dai carabinieri e identificati, non avevano preavvisato la manifestazione. I russi hanno visto e ripreso che non è stato toccato loro un capello, anche se non avevano nessun permesso per manifestare. Anche in Russia succede questo?”.

Un paio di giorni più tardi, la stampa del Veneto comincia finalmente a occuparsi seriamente della vicenda: ma la notizia non è il referendum, bensì il fatto che la stampa internazionale si occupi del referendum. Il Gazzettino informa i suoi lettori che da ben cinque giorni è in corso una consultazione organizzata da Plebiscito.eu, e per cui, secondo i promotori, hanno già votato oltre 700mila persone (diventati più di un milione, sempre secondo i promotori, alla data di oggi). Ma questo fatto è riportato solo dopo quello, principale, dell’interessamento della stampa estera.

Finora non mi sono espresso sul merito del referendum. Come ho scritto alla mia amica su Facebook, non ci vuole molto per capire che si tratta di un’operazione puramente simbolica e mediatica, priva di esiti legislativi vincolanti e di scarso valore come barometro, visto che si può votare online per un’intera settimana e che c’è uno scarsissimo controllo su chi vota. Come lo so? Facile, mi sono iscritto sul sito di Plebiscito.eu, dando come mio indirizzo quello del canile di Vicenza. Mi è arrivato un codice per posta elettronica e ho votato telefonicamente. Mi è giunta anche un’email di ringraziamento: “Gentile cittadino, grazie per aver votato il Referendum digitale per l’indipendenza del Veneto”. Sarò stato, immagino, uno dei pochissimi “no”.

È interessante inoltre che Luca Zaia, il presidente della regione Veneto, abbia deciso di salire su un carro illuminato dai riflettori della stampa internazionale, dichiarando il 19 marzo nel corso di una conferenza stampa all’Associazione della stampa estera a Roma che “l’indipendenza non si fa oggi e forse neanche domani, è un sogno. Ma anche Mazzini sognava”. Prima era sembrato piuttosto stizzito da un’iniziativa non appoggiata dalla Lega nord e che ha rubato la scena al referendum sulla stessa questione organizzato dal Carroccio in molti comuni del Veneto il 1 e 2 marzo.

In ogni caso, per me il fatto più indicativo di tutta questa vicenda non è che ci sia stato un referendum fasullo organizzato nel Veneto, ma il quasi totale silenzio della stampa italiana, perfino della stampa regionale, su un’iniziativa che è comunque una notizia, in quanto rivelatrice di una certa evoluzione (o involuzione) sociopolitica in atto in molti regioni d’Italia, non solo nel Veneto.

La difesa ex post del Corriere del Veneto (firmata “dal nostro inviato”) è che noi poveri giornalisti esteri siamo rimasti vittime di un’enorme presa in giro:

“Venezia lascia l’Italia. Questa è la storia, l’ennesima, di come un’informazione sbagliata o fortemente imprecisa, una bufala diciamo, abbia la capacità di moltiplicarsi con la velocità della fissione nucleare grazie alla Rete. Basta che l’ingannato sia un ente accreditato e credibile, in questo caso un grande network internazionale, e non si torna più indietro”.

Ora, non c’è dubbio che c’è stata una certa leggerezza nel modo in cui certi rappresentanti della stampa internazionale hanno trattato il fatto, a partire dall’articolo della Bbc, che riesce a dare l’impressione che il referendum sia in qualche modo appoggiato dalla regione Veneto. Non è un caso, poi, che la notizia abbia avuto più risalto in due paesi dove la questione dei referendum di secessione non è un argomento neutro. La Russia sta cercando appigli dappertutto per dimostrare la validità del recente plebiscito della Crimea, mentre nel Regno Unito il tema è attuale grazie al referendum (non fasullo) sull’indipendenza della Scozia che si terrà a settembre.

Ma questo non toglie che era una notizia che in Italia andava data. Magari seguendo la pista russa non in modo ironico e insinuante, ma indagando seriamente sulle dimensioni della presunta montatura. O anche perdendo dieci minuti a registrarsi al sito del referendum per valutare la sua serietà, come ho fatto io.

Non intendo sparare sui colleghi alle prese con un lavoro che si fa ogni giorno più difficile e precario. Ma per come lo concepisco io, il mestiere di un giornalista consiste nel riportare delle notizie di interesse pubblico, non fare da guardiano morale filtrando e sopprimendo quelle notizie che non riteniamo degne della vostra attenzione. Ora, se io lettore ho visto dei gazebo nella mia città di un comitato che promuove un referendum sull’indipendenza della mia regione, mi aspetto di aprire il giornale, almeno quello locale, e trovarne qualche accenno.

Quando nel maggio del 2009 era scoppiato il caso di una presunta relazione tra l’allora presidente del consiglio e una minorenne di nome Noemi Letizia - argomento di lampante interesse pubblico - l’unico giornalista che si è abbassato (è chiaro che lo dico ironicamente) fino al punto di andare a Napoli e bussare alla porta della ragazza per chiederle un parere è stato il mio amico Richard Owen del Times. Richard è un giornalista colto e un vero professionista, e sapeva che la notizia bisogna andare a scovarla. Curioso poi che la sua intervista al padre e madre di Noemi è stata ripresa da autorevoli giornali italiani che non si erano voluti sporcare le mani per andare a cercarla.

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