05 marzo 2013 09:00

1. Il fieno, Vincenzina e la fabbrica

Struggersi a più non posso per le magre agre vite che ruotavano attorno alla produzione. Venire dal tessuto industriale smembrato tra Milano e Varese. Voler bene alla fabbrica. Rendere onore a Enzo Jannacci e a tutte le vite operaie. Il titolo dell’ep I bambini crescono incornicia non dei vecchi Cipputi ma una buona band power pop che offre un rinfresco della malinconia postindustriale, della nostalgia per un mondo di certezze come il posto fisso, anche gramo. Con una signora canzone che quando si toglie il foulard si capisce che ci sa fare coi ragazzini.

2. Coma, With you

Dalle macerie dell’industria pesante di Łódź, ruggine, ossa e vodka postsovietica distillata insieme a pezzi di smalto scrostati da vecchie vasche da bagno, ecco gli idoli del grunge-metal polacco, band che brucia energia come se non esistessero certificazioni ambientali. Da quando hanno barattato il polacco con l’inglese hanno pure scoperto miniere di platino, in posti come la Germania dove funziona bene questo rockaccio suonato con perizia, convinzione, etica del lavoro (l’album Don’t set your dogs on me trasuda fatica anche nelle ballate).

3. Paletti, Senza volersi bene

“Non si può stare senza volersi bene / ma un cane o una donna da amare conviene”. Che il bresciano Pietro Paletti apprezzi se stesso lo si evince dalla cover del primo album Ergo sum: bianconeramente nudo alla Janet Jackson (lei però con mani mascoline che da dietro coprivano a coppa le mammelle), e taglio della foto a fil di pube. Impossibile quindi verificare se corrisponde al vero il passaggio in cui cita “ragnatele sul pisello”, ma come produzione musicale merita. E certi pezzi (Cambiamento, I ricordi) rasentano l’eccellenza dell’italico alt-pop.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it