20 maggio 2014 02:43

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Bertrand Bonello

[Saint Laurent][1]*

Concorso, Francia 150′

All’apparenza forse sì. Dopo un’ora o poco più (la durata complessiva è di 2.30mn), infatti, si è sempre in ammirazione per la conduzione formale del film, ma si affaccia il dubbio che sia tutta forma, cioè il film finisca in trappola per colpa delle sibille dell’estetizzazione (il grande male dell’arte contemporanea) e quindi diventi il riflesso di quanto è sullo sfondo dell’oggetto ritratto – la fatuità e la vacuità del mondo della moda – offuscando l’oggetto in questione: la personalità inquieta, folle ma genialmente creativa di Yves Saint Laurent.

Tutto gli scivolava addosso a YSL? Ce lo si può chiedere.

Sequenza chiave: quando a destra dello schermo scorrono le collezioni disegnate dal grande couturier nel suo periodo più forte, cioè dal 1966 al 1976 (periodo su cui gran parte del film è imperniato), e a sinistra dello schermo le immagini di repertorio, del Vietnam, del ‘68, delle dimissioni di De Gaulle, dell’annuncio della sua morte.

È una breve sequenza molto bella realizzata in split-screen, ne viene una sorta di multi-sequenza o di multi-quadro, un po’ come nel fumetto, dove le singole inquadrature sono giustapposte una accanto all’altra per formare una sequenza e guardabili contemporaneamente senza un flusso unico che si coglie gradualmente come il cinema. Al tempo stesso è vero l’opposto: qui abbiamo due flussi giustapposti. Quello della fiction che ricostruisce la realtà e quello reale dell’immagini di repertorio. Un incontro che non riesce a diventar scontro.

Perché YSL non è in questo mondo e al tempo stesso ci è dentro in pieno. La sua fragilità estrema al mondo esterno, da cui lo proteggerà Pierre Bergé, suo compagno e deus-ex-machina imprenditoriale, è quella di chi si sente pienamente consapevole della ferocia di questo mondo.

Mondo che Saint Laurent manipolerà e modellerà a suo modo. Creando del “bello”, come se non se ne fa quasi più, e come non se ne farà quasi più. E questo travaglio esistenziale e creativo, ad un certo punto emerge fortemente. Il film, via via in maniera sempre più netta, esprime l’interiorità di questo grande personaggio del dopoguerra, attraverso alcune scene fattuali, alcuni momenti chiave del rapporto con Bergé.

Il quale si è a lungo opposto a questo film – sulla stampa francese è stato quasi un feuilleton – preferendogli il biopic diretto dall’attore Jalil Lespert, che ha quasi supervisionato, poco tempo fa uscito anche nelle sale italiane dopo l’uscita in Francia nel gennaio di quest’anno.

Eppure nel film di Bonello, come altri hanno già rilevato, Bergé, nell’insieme, fa gran bella figura.

  • Intervista della tv Arte a Bertrand Bonello

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Prima di tutto come imprenditore che ha capito tutto del genio di YSL, e per il quale prenderà grandi rischi, e in secondo luogo come suo compagno, proteggendolo praticamente da tutto, forse a tratti costruendogli una gabbia dorata ma permettendogli di arrivare alla vecchiaia, al contrario del suo amante e altro grande amore, Jacques de Bascher de Beaumarchais (e compagno di un altro grande stilista in concorrenza con YSL e che fu clamorosamente assente ai funerali di quest’ultimo: Karl Largerfeld), magnificamente interpretato da Louis Garrel, amore che morirà di aids.

La sequenza prima citata non è quindi solo documentaristica: è perfida, perché rivela tra le righe l’assenza d’interrogazione sul mondo contemporaneo dell’arte di YSL; profonda, perché giocherellando mette in evidenza, per contrasto, la forza della creazione artistica malgrado le brutalità del mondo; e rispettosa, perché, come si capirà pian piano, questo è assieme il limite e la grande forza del lavoro di creazione di YSL, lavoro che peraltro Bonello fa rivivere con vera sensibilità, suscitando spesso meraviglia nello spettatore.

L’intero film è infatti pervaso da questa interrogazione sull’arte e la sua decadenza, e la decadenza dell’Occidente stesso: un sentimento struggente, un pervasivo languore nostalgico che porta con sé la consapevolezza dell’autodistruzione di una cultura e di un mondo, e quindi in Saint Laurent un conseguente desiderio di autodistruzione, desiderio sempre bloccato in tempo da Bergé.

Warhol ad esempio, che dedicò una serie di ritratti a YSL, pare meno artista del couturier: c’è qualcosa nel film, ben sottile, che fa apparire il grande ideologo della pop art, per contrasto, il pubblicitario della stessa, un re dell’estetizzazione di cui dicevamo. Bel paradosso, visto che Warhol, stando al film, diceva a YSL di considerarlo come l’ultimo rappresentante di un’arte ormai morta.

Intervista all’intera équipe del film

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Un profumo viscontiano coabita con un profumo proustiano: le due cose non essendo certo indissociabili poiché il regista di La Caduta degli Dei *e del *Gattopardo, da un certo momento in poi abbandonerà quel neorealismo di cui era stato maestro per lasciar posto alla rappresentazione di un languore verso un mondo in dissoluzione, quello delle aristocrazie europee, facendolo coincidere, in una serie di film grandiosi, nella dissoluzione di un’intera civiltà. Forse chiudendosi in una bolla protettiva, ma anche dandoci una rappresentazione potente e precisa di questa decadenza.

** Gruppo di famiglia in un interno di Luchino Visconti (Trailer)**

http://www.youtube.com/watch?v=GefMVX3FylM

Ne è paradigmatico che YSL nella sua vecchiaia sia interpretato da Helmut Berger, l’attore feticcio del Visconti degli ultimi anni, da Ludwig *a *Gruppo di famiglia in un interno. O la presenza di Dominique Sanda, nella parte della madre di Saint Laurent, attrice che ha lavorato con tanti grandi registi italiani, e con Visconti proprio in Gruppo di famiglia in un interno. È un movimento unico: la Sanda, rivelata da Robert Bresson, era all’origine una mannequin, così come lo straordinario Gaspard Ulliel, che interpreta Saint Laurent, è un attore e mannequin.

La stessa struttura narrativa, totalmente destrutturata nella sua temporalità, è il riflesso di questo crollo, di questa confusione sulle gerarchie del “bello”, vale a dire la confusione della vita reale e mentale di Saint Laurent, le due cose essendo indissociabili. E la struttura narrativa, piena di digressioni, è una non-struttura in qualche modo proustiana.

Si sa, del resto, che Marcel Proust figurava tra gli scrittori preferiti da YSL. Tutto torna, quindi: il chiudersi a riccio al mondo esterno del padre de La Recherche, degustando madeleines evocanti reminiscenze sulle meravigliose spiagge della Normandia mentre tutt’intorno vi è la carneficina più totale, è anche quello di YSL.

La caduta degli dei di Luchino Visconti (Trailer in lingua inglese)

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Ma non bisogna essere ideologici: Saint Laurent ha connotato la sua epoca con il bello, ricercando costantemente la raffinatezza, come Bonello riesce a farci capire con vera finezza, entrando nei meandri della costruzione artigianale mediante un lavoro d’équipe. Arte di équipe, dunque, come a teatro. E come al cinema.

Caratterizzare un’epoca, non è cosa da nulla. Cosa sarebbe stata, infatti, l’epoca moderna, senza il jazz o il cinema, per fare due esempi, per l’uomo medio, quale la sua connotazione? Solo guerre e crisi economiche? Il punto è che YSL ha trasmesso la propria interiorità nella sua opera, malgrado il tanto merchandising e al contrario di tanta moda, come quella che Altman ci rappresentò nel suo* Prêt-à-porter*.

YSL, il quale secondo Bergé non amava la vita, omosessuale dichiarato, ha così lasciato, malgrado sé, un grande inno alla vita inneggiando per tutta la sua vita alle donne mediante il lavoro creativo. Cercando con sincerità di renderle più belle, se non delle dee, rivelando almeno qualcosa della loro spiritualità, della loro interiorità. Spingendole verso una dimensione ideale della bellezza. Come la grande pittura del passato a cui tanto aspirava.

Helmut Berger: vive con 200 euro al mese (tg2)

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Vi sarebbe ancora molto da dire su questo film commovente che non cerca di commuovere (tipica tara del nostro cinema), in particolare sull’arte e sul rapporto di Bonello alla Nouvelle Vague, oltre che all’interno della sua personale filmografia, tutti elementi, ancora una volta, indissociabili. Ma ci fermiamo qui.

Per il momento, ci resta una curiosità: quella di capire meglio un grande essere umano, come pare essere, negli interstizi della narrazione che il film gli riserva, Pierre Bergé, il quale, al di là di una (relativa) possessività, pare l’angelo protettore in un mondo di angeli (auto)sterminatori.

Gli angeli nascosti di Luchino Visconti

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